domenica 15 maggio 2016
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INVIATA AD ASTI Qana, Libano, dieci chilometri soltanto dal 'confine' con Isreaele, o meglio da quella 'blue line' che confine vero non è, ma che le due nazioni riconoscono «e almeno lì non si sparano ». Qana, per noi Cana: secondo alcuni storici forse proprio il villaggio in cui duemila anni fa Gesù compì il suo primo miracolo, durante un banchetto di nozze. Ancora Qana, però, è la cittadina legata a due tra i massacri più sanguinosi degli ultimi anni, dove centinaia di civili rimasero vittime della guerra tra Hezbollah e Israele. Per tanti motivi, insomma, la missione compiuta a Qana dagli alpini in congedo dell’Ana durante la Pasqua di quest’anno ha forte valore simbolico: «Rinunciando alle feste in famiglia, dodici di noi si sono uniti alla Brigata Taurinense di alpini in armi, allora presente in Libano tra le forze Nato, per ripristinare un sito archeologico unico al mondo, che anni di guerra avevano ridotto a uno scempio », racconta Lorenzo Cordiglia, presidente della Commissione grandi opere dell’Ana, l’associazione nazionale degli alpini in congedo (ad oggi 360mila iscritti). Un sito che custodisce 35 gigantesche sculture scavate nella roccia in bassorilievo ai tempi delle prime comunità cristiane, dunque di grandissima importanza spirituale oltre che storica: «Un gruppo scultoreo rappresenta probabilmente la più antica Ultima cena mai ritratta – spiega Cordiglia –, con dodici persone che circondano un tredicesimo uomo di dimensione maggiore. Altri bassorilievi ritraggono figure di angeli, o di una Madonna... Poco distante una grotta, abitata già nella preistoria, era stata rifugio dei primi cristiani durante le persecuzioni». La vegetazione ormai soffocava le rocce e i viali d’accesso, porticati e parapetti in legno giacevano marciti, l’abbandono era totale. Così gli alpini in congedo delle sezioni di Asti, Bergamo, Luino, Monza e Salò si sono divisi in squadre e hanno lavorato sodo, coinvolgendo la Brigata Taurinense e riportando in due settimane il sito all’efficenza di prima dei combattimenti. «Eravamo scortati da due Lince, dai soldati delle Forze Armate libanesi e dalla Polizia locale, con i quali abbiamo fatto subito amicizia e condiviso il pranzo al sacco, offerto dal sindaco di Qana», continua Cordiglia. Era stato proprio il primo cittadino di Qana, il dottor Salah Salameh, a chiedere l’intervento delle Penne nere, nel tentativo di riportare in vita un’area e un’intera comunità che la guerra ha messo in ginocchio. Ora la speranza è che a Qana tornino presto i turisti, attratti dal luogo di fede e dal patrimonio culturale. «Purtroppo la zona è ancora troppo a rischio... Ma intanto la cittadinanza – non solo i cristiani libanesi ma anche gli shiiti, che costituiscono la quasi totalità dei residenti a Qana – ci ha dimostrato tutta la gratitudine e già la domenica di Pasqua sono accorsi in tanti a festeggiare. Con una toccante cerimonia, hanno conferito all’Associazione nazionale alpini la cittadinanza onoraria 'per l’affetto e l’interesse mostrato verso la città e la comunità di Qana, testimoniati dalla nobile iniziativa che ne valorizza la realtà storica, artistica e umana'. Ma la missione ha anche un altro senso, questa volta più 'interno' alla comunità dei nostri alpini. L’intervento di recupero, infatti, è stato l’ennesima occasione con cui i 'veci' dell’Ana hanno fatto sentire la loro vicinanza ai giovani alpini in armi, rinsaldando un vincolo e trasmettendo quei valori di fratellanza che rappresentano un patrimonio da preservare. Anche per questo da 89 anni i due mondi si incontrano nelle adunate nazionali e il segreto della concreta solidarietà alpina sopravvive anche alla fine della leva. «Successivamente abbiamo anche donato due climatizzatori per un oratorio fatto costruire dall’arcivescovo di Tiro, su richiesta del generale Franco Federici, comandante della task force italiana». © RIPRODUZIONE RISERVATA CANA Alpini e volontari Ana sul sito
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