giovedì 28 aprile 2016
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MILANO La procura egiziana ha deciso di estendere per altri 15 giorni il fermo del consulente della famiglia Regeni, ma si è affrettata a sottolineare che il provvedimento contro Ahmed Abdallah «non ha nulla a che vedere con l’omicidio del ricercatore italiano». Amministratore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, l’attivista è stato arrestato - questa la versione delle autorità giudiziarie - per aver «manifestato senza autorizzazione » contro l’accordo di limitazione delle frontiere tra Egitto e Arabia Saudita (che prevede la cessione a quest’ultima di due isole del Mar Rosso, Tiran e Sanafir). L’ingegnere, di cui era stato disposto un fermo di quattro giorni, è inoltre accusato dalla procura del Cairo di aver pubblicato notizie false, di essere «ricorso alla violenza e di aver minacciato la pace sociale, l’ordine e l’interesse pubblico». Per Amnesty International, su Abdallah peserebbe anche un’accusa di adesione a un gruppo «terroristico e promozione del terrorismo». A denunciarne l’arresto era stata la famiglia Regeni, esprimendo angoscia e preoccupazione per il recente giro di vite del regime egiziano ai danni di attivisti, giornalisti e avvocati, che in qualche modo stanno indagando attorno all’omicidio di Giulio. Abdallah stava infatti offrendo una consulenza ai legali della famiglia nel tentativo di raccogliere elementi utili sul caso del ricercatore. Ma la procura nega categoricamente che tra il brutale omicidio di Regeni e l’arresto del consulente della sua famiglia ci sia un legame. Il caso, ribadiscono fonti giudiziarie, non ha «nulla a che fare con la famiglia dello studente italiano». Ma il Cairo tira dritto nel tentativo di fare terra bruciata intorno alle indagini. Le autorità egiziane hanno chiesto al governo britannico, che aveva ribadito di essere «inorridito» dall’omicidio di Regeni, di fare luce sulla morte di un giovane egiziano a Londra e di identificare gli assassini. (N.S.) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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