Sabato sera, all'arrivo nella casa
della Comunità di Sant'Egidio che li ospita nel rione
Trastevere, una grande festa con una "cena siriana", ma con
l'aggiunta di specialità italiane "che hanno gradito
moltissimo". Domenica le prime fasi dell'adattamento alla nuova
vita e alla realtà circostante - tra cui già l'iscrizione alla
scuola di italiano -, qualche visita medica per i bambini, le
telefonate dei parenti da ogni dove, meravigliatissimi di averli
visti in tv, niente meno che con il Papa. E tanti, tanti
ringraziamenti al Pontefice. Sono trascorse così le prime 24 ore
a Roma per i dodici profughi siriani, tutti musulmani - tre
famiglie, con sei bambini e ragazzi - che Francesco ha portato
con sé sul volo di ritorno dall'isola greca di Lesbo.
I presenti descrivono come "una bellissima festa" quella con
cui le tre famiglie, stanchissime, ancora un pò disorientate ma
felici, sono state accolte sabato sera nella struttura di
Sant'Egidio. "Una cena siriana, preparata da altri nostri ospiti
venuti a Roma con i corridoi umanitari, e offerta da un
ristorante siriano", racconta Daniela Pompei, responsabile del
servizio della Comunità con i migranti, andata nei giorni scorsi
a Lesbo in avanscoperta per mettere in pratica il desiderio del
Papa di portare con sé un gruppo di rifugiati e che poi li ha
accompagnati nel volo verso Roma. "Sono stati però aggiunti
piatti italiani - spiega -, un tipo di cucina che loro avevano
già gradito durante il pranzo offerto in aereo e che hanno
apprezzato moltissimo".
Poi, finito il primo clamore, praticamente distrutti dalla
stanchezza, tutti a letto negli alloggi loro riservati nella
struttura.
ECCO CHI SONO LE TRE FAMIGLIE ARRIVATE IN VOLO CON IL PAPA"La loro vita è cambiata in poche ore", sottolinea
Daniela. Niente a che vedere con la situazione precaria del
campo profughi: non parliamo poi degli orrori lasciati alle
spalle nell'inferno siriano, sia a Damasco che nei territori
occupati dell'Isis, fino alla traversata in gommone dalla
Turchia, come accaduto ad esempio per Hasan e Nour, coppia di
ingegneri biochimici, con il figlio di due anni. Domenica dopo il
riposo, la prima incombenza, di cui tutti chiedevano già ieri, é
stata l'iscrizione alla scuola di italiano per stranieri, che
Sant'Egidio gestisce a Roma da trent'anni. "L'integrazione -
dice Pompei - passa anche per la conoscenza della lingua". E
bisogna sentirlo, il bimbo di due anni che ripete tutte le parole che gli
vengono dette in italiano. Rami e Suhila, di
Deir Azzor, zona conquistata dai miliziani del Califfato, lui
insegnante e lei sarta, tre figli (una bambina piccola, Quds,
che significa "città santa", cioè "Gerusalemme", talmente
simpatica da essere già diventata la mascotte di tutti, e due
ragazzi di 15 e 17 anni), hanno ricevuto tante telefonate dai
parenti da Damasco, da altre zone della Siria, dal Libano: "vi
abbiamo visti nei telegiornali di tutto il mondo!", gli dicevano
stupiti. I due piccoli di Osama e Wafa, di sei e cinque anni,
ieri avevano la febbre, ma oggi stanno già meglio, giocano, sono
allegri.
Una scelta precisa è stata quella di far stare il gruppo in
città, non fuori, quindi a contatto diretto con la vita sociale
circostante. "Questa è anche la chiave per un inserimento
immediato, a noi interessa dare loro una possibilità per
un'integrazione più rapida", spiega Pompei. Le tre famiglie
hanno già cominciato a muoversi a Trastevere,
alla scuola di italiano ci arrivano da sole. Hanno avuto anche
dei buoni-spesa per comprare quel che loro più serve al
supermercato. Insomma, hanno già superato lo spaesamento delle
primissime ore. "Per quello che ci riguarda - aggiunge
l'operatrice di Sant'Egidio - abbiamo facilitato la
realizzazione di questo desiderio del Papa. Li aiuteremo in
questa fase iniziale. Poi, per il futuro, sì vedrà".