martedì 19 settembre 2023
Due malati portati a uccidersi in Svizzera non erano «tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale». I pm: non li volevano perché «futili»
Marco Cappato

Marco Cappato - FOTOGRAMMA

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La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dall’accusa di aiuto al suicidio di due persone che Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha portato a uccidersi in una clinica svizzera nei mesi scorsi. Due episodi per i quali lo stesso Cappato si era autodenunciato, sia nell’agosto 2022, sia nel successivo novembre. Le due persone erano entrambe malate, ma non soddisfacevano tutti i quattro requisiti che la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale aveva dettato per considerare «non punibile» l’aiuto al suicidio, che peraltro la Consulta ha mantenuto come reato secondo quanto prevede l’articolo 580 del Codice penale.

Il primo caso è quello di Elena Altamira, una donna di 69 anni, malata di tumore ai polmoni metastatico, residente a Spinea (Venezia) che ai primi di agosto del 2022, fu accompagnata in Svizzera «a fare la sua scelta libera di morire», come disse lo stesso Cappato.

Il secondo, nel novembre 2022, fu quello di Romano, un uomo di 82 anni affetto da una forma grave di malattia di Parkinson, e residente a Peschiera Borromeo (Milano). Anch’egli fu accompagnato in Svizzera dal tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che aveva diffuso un comunicato per spiegare che Romano era allettato con «forti dolori muscolari, in una condizione irreversibile che gli impediva di leggere, scrivere e fare qualsiasi cosa in autonomia».

Nel settembre 2019 la Corte costituzionale, nell’esaminare il caso dell’aiuto al suicidio prestato da Marco Cappato a Fabiano Antoniani (dj Fabo) stabiliva la «non costituzionalità» dell’articolo 580 del Codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Ieri il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano (la stessa che fece ricorso alla Corte Costituzionale per il caso di Fabiano Antoniani) e il pm Luca Gaglio, dopo aver svolto le indagini medico legali sui due casi, hanno chiesto di archiviare la posizione di Marco Cappato. Ora dovrà decidere il gip.

Secondo la Procura entrambi rientrano «nell’ambito di non punibilità delineato» dalla Consulta nel 2019 anche se manca il requisito dei trattamenti di sostegno vitale, rifiutati dai pazienti perché «potevano scientificamente definirsi come espressione di accanimento terapeutico», «futili», finalizzati solo a ritardare «la morte», «non dignitosi» per il malato e «forieri di ulteriori sofferenze per coloro che lo accudiscono». Quindi Cappato avrebbe consentito «il concreto esercizio del diritto all’autodeterminazione» di persone non «in grado di esercitarlo autonomamente».

Sempre secondo i pm, se il gip non dovesse accogliere questa interpretazione, l’«unica strada praticabile rimarrebbe quella di rimettere nuovamente gli atti alla Corte Costituzionale» per il contrasto tra il requisito stabilito dalla sentenza 242/2019 e l’articolo 3 della Costituzione, che stabilisce che «tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge».

Va peraltro ricordato che la Corte Costituzionale – nel sollecitare una nuova norma di legge specifica – precisava che per «evitare abusi in danno di persone vulnerabili» occorre che le condizioni del paziente siano verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale , previo parere del comitato etico territorialmente competente.



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