venerdì 22 gennaio 2010
Trent’anni di carcere per il boss Salvatore Lo Piccolo e per il figlio Sandro. E poi una sfilza di condanne per gli aguzzini che soffocavano i commercianti di alcuni quartieri di Palermo. In tutto 141 anni di carcere per 13 dei 17 imputati. La sentenza al processo denominato «Addiopizzo» è arrivata giovedì a tarda sera, dopo una lunghissima camera di consiglio durata 84 ore.
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Trent’anni di carcere per il boss Salvatore Lo Piccolo e per il figlio Sandro. E poi una sfilza di condanne per gli aguzzini che soffocavano i commercianti di alcuni quartieri di Palermo. In tutto 141 anni di carcere per 13 dei 17 imputati. La sentenza al processo denominato «Addiopizzo» è arrivata giovedì a tarda sera, dopo una lunghissima camera di consiglio durata 84 ore. Salvatore Lo Piccolo ha atteso il verdetto nella sua cella nel carcere di Milano mentre il presidente della seconda sezione del Tribunale di Palermo Bruno Fasciana leggeva il dispositivo. Degli altri imputati è stato condannato, a 16 anni di carcere Massimo Troia mentre 12 anni sono stati infitti al boss Francesco Di Piazza. E poi pene dai 10 ai 3 anni per altri mafiosi di spessore o semplici esattori del pizzo. Nel corso del dibattimento i pm Marcello Viola, Francesco Del Bene, Gaetano Paci e Anna Maria Picozzi hanno fatto luce su oltre 40 estorsioni e nella loro requisitoria finale avevano chiesto pene per complessivi 253 anni di carcere. Il processo prendeva spunto da un’inchiesta della Squadra Mobile di Palermo. Fondamentali per provare le accuse, le denunce di alcuni dei commercianti e il libro mastro delle estorsione trovato nella villetta di Giardinello in cui nel 2006 furono catturati i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Tra i tanti attentati del racket anche quello ai danni dell’imprenditore Rodolfo Guajana, ormai diventato uno dei simboli della resistenza al ricatto mafioso, anche se per quell’attentato i Lo Piccolo sono stati assolti dall’accusa di essere i mandanti. Sordo alle minacce del racket, nel 2007 Guajana si vide andare in fumo il proprio deposito di vernici. Nel processo l’imprenditore si è costituito parte civile a differenza di altri commercianti che hanno preferito essere imputati di favoreggiamento pur di non confermare le denunce contro gli estorsori. Il processo prende il nome dall’associazione Addiopizzo nata nel 2004 come stimolo agli imprenditori palermitani a ribellarsi al racket. I giovani dell'associazione coniarono una bellissima incitazione: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». Al processo, Addiopizzo si è anche costituita parte civile ed ha ottenuto un risarcimento di 100 mila euro. Risarcimenti sono andanti alle altre parti civili, tra le quali ci sono la Regione Siciliana, il comune e la provincia di Palermo e Confindustria.
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