sabato 13 marzo 2021
Il presidente di Argomenti 2000 ed ex deputato dem: occorre chiedersi se davvero si può riprendere quel progetto culturale in cui trovava un posto importante il cattolicesimo democratico
Ernesto Preziosi, ex deputato del Pd

Ernesto Preziosi, ex deputato del Pd - Ansa

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L’avvio del governo Draghi segna un passaggio nella politica e tra i partiti. Con ogni probabilità al termine di questa esperienza ci troveremo in una nuova fase politica, un po’ come avvenne dopo il governo Ciampi.

Viviamo una lunga crisi di sistema che chiede di intervenire in profondità: è un problema di visione culturale prima che politica. Ma le degenerazioni delle forme partitiche, l’avvitamento intorno a singoli leader, il dissolversi di una presenza territoriale in grado di coinvolgere i cittadini e, non ultima, la difficoltà di ricorrere, con delle giuste mediazioni, all’utilizzo degli strumenti digitali per favorire la partecipazione e la stessa espressione della volontà popolare, pongono con forza l’urgenza del problema.

Draghi farà sicuramente bene, dobbiamo augurarcelo. Ma i mesi che abbiamo davanti, mentre il governo farà le scelte necessarie e con la dovuta rapidità si dedicherà ad investimenti e riforme, vanno utilizzati al meglio. Si dovrebbe aprire un grande cantiere, una fase costituente. Il tempo che ci separa dalle prossime elezioni politiche offre una opportunità alla politica e ai partiti per ripensarsi.
Vi è quindi un compito che riguarda, in maniera diversa, tutti i partiti ma in particolare i soggetti che intendono candidarsi come interpreti di un riformismo capace di misurarsi con il cambiamento sociale, culturale, tecnologico, senza smarrire le radici ideali.

Tra i soggetti investiti di questa responsabilità vi è senz’altro il Pd, a maggior motivo dopo le dimissioni del segretario. Non so se basti un’assemblea, un congresso o altro, so che serve aprire un confronto, elaborare un pensiero, riprendere quel progetto iniziale che aveva dignità culturale e si poneva di fronte alla società offrendo una proposta plurale in cui trovava posto anche una cultura cattolico democratica. È ancora possibile? Oppure la crisi di identità si manifesta anche in un agnosticismo pratico con cui non è possibile dialogare? Ci si rende conto dei tanti che oggi manifestano delusione e dello iato che si è creato fra le attese di uno spazio di cultura riformista e le dinamiche interne con cui, da un lato, si è puntato tutto sul singolo leader e, dall’altro, si è diviso il partito in una molteplicità di correnti senza anima politica?

La dichiarata e generosa disponibilità di Enrico Letta alla segreteria offre, in prospettiva, un valido sostegno alla stabilità del governo Draghi e una garanzia che l’esecutivo non finisca per scivolare sul versante destro dell’anomala maggioranza. Allo stesso tempo apre una possibile via d’uscita alla crisi interna che si trascina da tempo. Letta ha dichiarato che chiederà al partito una discussione franca nella ricerca di una "verità" più che di una soluzione fittizziamente unitaria. L’ascolto andrà allargato alle tante realtà presenti sul territorio, alle molte esperienze locali di buona politica. La sintesi da tentare non può esaurirsi in un equilibrio tra correnti vuote di contenuti.

La sfida oggi si gioca nella visione di una soggettività politica europea. Non sarà compito facile ed è bene sapere che non saranno possibili altri tentativi. Quella che si apre oggi può essere la fase che, in definitiva, o sancisce il fallimento del progetto oppure segna il punto da cui avviare un processo che aspiri a dare all’Italia un partito compiutamente europeo e dunque capace di parlare al Paese e del Paese.

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