lunedì 5 agosto 2019
Sono pochi gli arrampicatori che salgono i suoi 3557 metri. Il numero di chi ripete le vie classiche è sceso, molti preferiscono palestre di roccia naturali a portata di parcheggio, ma è un'altra cosa
La Presanella (Palmieri)

La Presanella (Palmieri)

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È la maggior vetta interamente trentina, e conquistarla – per uno che di montagna ne macina – non è un’impresa sovrumana. Eppure sono pochi gli alpinisti che s’inerpicano sui 3.557 metri della Presanella, abbracciando dalla sua cima – in un unico immenso colpo d’occhio – l’Ortles, il Cevedale, l’abitato di Giustino in Val Rendena, l’Adamello, le casette del Tonale, le Dolomiti di Brenta…e l’azzurro dell’infinito, ovviamente.

“Colpa dei cambiamenti climatici e dello scioglimento delle nevi perenni”, scandisce Egidio Bonapace, guida alpina e gestore del rifugio Segantini da cui parte la “normale” (cioè la via meno complessa) per la cima. Lui te lo fa capire senza mezzi termini: il riscaldamento globale uccide non solo i ghiacciai, ma anche la voglia di vivere i monti che accarezzavano.

“Fino a qualche anno fa – spiega – da sopra il rifugio e fino alla vetta si attraversavano diverse distese di neve”. Soffice, che non necessariamente ti obbligava a mettere sempre e comunque i ramponi. Ora non è più così: là dove c’era neve, ora ci sono pietra o ghiaccio vivo. Affilato. Superabile solo con quegli spuntoncini metallici che si attaccano sotto le pedule. “Ma camminare per lunghi tratti con i ramponi non è facile – scandisce Bonapace – e già questo disincentiva le ascensioni alla vetta”. Senza contare che la neve perenne, per le rocce, è uno straordinario collante. E una volta venuta meno, “aumentano le frane, e diminuisce in generale la sicurezza dell’ambiente”.

Una situazione mitigata dalla Cooperativa guide alpine del Trentino, che nel 2012 ha studiato – attrezzandole – alcune varianti di percorso. “La difficoltà della via è sempre alpinistica – precisa il gestore del Segantini –, nessuno voleva trasformarla in una ferrata. Ma almeno così c’è meno rischio”. Il risultato? Più passaggi, ma numeri sempre esigui. “Circa 200 in 100 giorni d’apertura del rifugio”, conteggia Bonapace. Nulla rispetto alla fiumana estiva che scorre nel Brenta, dove rifugi come il Pedrotti e l’Alimonta (esattamente di fronte al Segantini, dall’altra parte della conca di Campiglio) fanno week end – e non solo - da 80/100 persone a notte. Ma sta proprio qui la seconda ragione che fa della Presanella una vetta per pochi intimi: “Di là – è sempre il custode della vetta a osservarlo – ogni ora di cammino c’è un rifugio. Qui da me, per andare al Denza (secondo e ultimo rifugio del gruppo, in Val di Sole, ndr), bisogna camminare per otto ore”.

E poi, la guida alpina nota anche un aspetto più generale: “Gli arrampicatori sono aumentati a livello esponenziale, ma il numero di chi ripete le vie classiche è sceso tantissimo”. A essere sempre più affollate sono le falesie: palestre di roccia naturali a portata di parcheggio, luoghi in cui esaltare la prestazione atletiche a scapito di un’immersione più totalizzante nell’ambiente alpino.

Bonapace, invece, è un montanaro che vive dell’ossigeno delle sue rocce. Di quelli che la sera prima dell’ascensione, in rifugio, spiegano e rispiegano ai neofiti percorso e difficoltà dell’ascesa. Che se alle cinque del pomeriggio, il giorno dopo, non li ha visti rientrare, corre (letteralmente) a cercarli. Che non solo assicura fiori freschi alla cappella in granito del luogo antistante il rifugio, ma custodisce pure il necessario per i sacerdoti che desiderano celebrare lì la Messa (“Però non posso più comprare le particole: ora fanno buste troppo grandi, e per quella volta che servono rischiano di essere ormai deperite…meno male che ogni tanto qualche prete me ne lascia un po’!”).

Vive anche di queste piccole storie quotidiane il mistero della Presanella, la vetta che a chi l’ascende regala laghetti attorniati da distese di cotone in pianticelle, antiche morene, mari di ghiaccio, pareti di granito, panorami immersivi. E che a poche centinaia di metri dalla grande croce di vetta – ormai stremato - ti obbliga a discendere i “caminetti”, per poi sublimare il tuo sudore della nuova ingrata ascesa in quel poco di vera neve che ancora protegge la cima.

Ma quando finalmente ne abbracci il nudo granito, in un paesaggio quasi lunare, la retorica dello “stanco ma soddisfatto” subito cede alla contingenza della discesa. In certi tratti più impegnativa della salita, annebbiata da una sveglia alle 4.30 (Bonapace non ammette che si parta dopo le 5, “le sei sono già tardi”) e comunque segnata dalla fatica di un’ascesa che non perdona distrazioni.

La vera meta è ancora una volta il Segantini, a un’ora scarsa di comodo sentiero dall’auto. Dove a salutarti, con il suo gestore, spesso è un tramonto mozzafiato sul Brenta. Fa niente che il gruppo alpino dirimpettaio sia un’altra roccia, un’altra era geologica, un altro tutto: non puoi parlare della Presanella, senza aver visto cosa regala a sera. Sarebbe come stare sulla terra, e dire di non aver mai badato alla luna. Un’esperienza totalizzante. Che sì, forse è tale perché avvolta dal silenzio: una dimensione sempre più rara, anche ad alta quota. E allora, non chiamiamola “vetta dimenticata”: lassù, a più d’una persona, è capitato di ritrovare se stessa.

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