mercoledì 31 maggio 2017
Tre giorni di confronti, musica e teatro organizzati dalla Caritas diocesana. Con monsignor Galantino, ospiti da tutta Italia e la lettera chirografa di Papa Francesco
#PortidiTerra
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Ruba sguardo e coccole e non ci si può far niente. Sgambetta per la sala in jeans, magliettina leggera, al collo una cuffia per ascoltare musica. La pelle nerissima, come gli occhi e i capelli terribilmente ricci. Non arriva a un metro d’altezza e a un anno d’età, l’hanno battezzata ad aprile e il padrino è il sindaco di Petruro Irpino (367 residenti ufficiali), il comune più piccolo della Campania. Sgambetta nella seconda giornata di #PortidiTerra, il “Festival del Welcome & Welfare” organizzato dalla Caritas di Benevento. Tre giorni d’immagini e volti, giornalismo, confronti e suoni, musica e teatro. Di fatti. Rigorosamente, tutti, a colori.

Fatti come i quattordici Sprar (“Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati”) progettati in collaborazione proprio con la Caritas beneventana e realizzati in piccolissimi comuni. A proposito, perché accoglierne uno? «L’integrazione serve – risponde Roberto Del Grosso, sindaco di Roccabascerana (2.370 abitanti) – e serve non solo al mondo intero, ma anche alla nostra comunità», per esempio «i ragazzi stanno dando una grossa mano nelle pulizie delle strade, delle aiuole e degli spazi pubblici». Lo Sprar a Petruro è nato «anche per dare una testimonianza», spiega il sindaco, Giuseppe Lombardi. E poi, con le parole di Carlo Grillo, sindaco di Chianche (581 abitanti), «vedere in giro bambini, giovani, ragazzi contribuisce a non avere desolazione, dicendola chiara, e per i nostri comuni penso sia una cosa valida».

Altre pelli nerissime lungo questo Festival. Oppure olivastre o chiare o con le sfumature che volete. Sorrisi, dopo le lacrime. Mani, volti. E storie. Terribili. Spesso, spessissimo. «Siamo partiti su un barcone in centotrentacinque, fuggivamo dalla Libia, a Lampedusa arrivammo in trenta. Ho provato dolore per i miei compagni, per non essere riuscito ad aiutarli», dice Rachidi, diciott’anni. «Scappiamo dalla guerra, molte fra noi sono state violentate e non avevamo di che sopravvivere, perciò veniamo qui», spiega Faith, bella, occhi e pelle nera anche lei, venticinque anni. «Mi è venuto il freddo addosso quando ho sentito alcune delle loro storie. La pelle d’oca», dice Claudio D’Agostino della cooperativa sociale “Immaginaria”, che ha realizzato un laboratorio teatrale per il festival, con ragazzi rifugiati e abitanti. Con lui, anche Ilaria Masiello: «A un certo punto loro si sono totalmente aperti e hanno voluto raccontarcele. A noi sembrano così lontane, e invece ci appartengono molto più di quanto immaginiamo».

Ha «una speranza» don Nicola De Blasio, direttore della Caritas di Benevento, «che il Festival possa scuotere le coscienze, possa diventare realmente un “welcome”, un benvenuto, perché non siamo proprietari di questa terra, ma soltanto inquilini». Tira vento e la sera pizzica la pelle di freddo. Ci si siede sul prato, a terra, sul muretto per vedere gli spettacoli, ascoltare i dibattiti, sentire gli attori. Monsignor Nunzio Galantino aveva aperto i tre giorni di Festival: «Chi insegna la storia, la geografia, la religione deve insegnare prima di tutto a pensare. Non a commuoversi, ma a capire».

Proprio la prima sera si è fatto tardi, nella piazza di Petruro. Luna a far scintillare quei colori delle pelli, un po’ di carne grigliata e vino. Ballando, chiacchierando. Insieme. «Le storie delle persone non sono opinioni, né slogan e frasi fatte, le storie tendono a far emergere la verità», sottolinea Gabriele Vacis, regista, drammaturgo, autore televisivo e cinematografico che ha allestito un lavoro coi ragazzi, anche lui per il Festival.

Tre giorni che sono stati lunghi e carichi anche di sorprese. Con il sindaco di Petruro che ha dato la cittadinanza onoraria del paese a monsignor Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento. Con padre Alex Zanotelli. Con il collegamento video dall’Iraq con il fotografo di guerra Alessio Romenzi (che appena un mese fa s’è aggiudicato il "Sony World Photography Awards" (il più grande concorso di fotografia al mondo con oltre 227mila candidature da 183 Paesi) e la mostra delle sue foto nei locali Caritas.

Ma, su tutto, una lettera chirografa, emozionante, inattesa, arrivata dal Vaticano, letta proprio dall’arcivescovo Accrocca: «In occasione del Festival promosso dalla Caritas di questa arcidiocesi, desidero esprimere il mio apprezzamento e la mia spirituale partecipazione – è scritto, fra l’altro -. Incoraggio la comunità cristiana di questo territorio, come pure tutte le persone di buona volontà, a considerare la presenza di tanti fratelli e sorelle migranti un’opportunità di crescita umana, di incontro e di dialogo, come anche un’occasione di testimoniare il Vangelo della carità». Firmato “Francesco”.

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