martedì 23 novembre 2010
Da un lato i fedelissimi del Cavaliere per i quali vale solo lo Statuto, che dà a lui la titolarità del marchio. Dall’altro Generazione Italia punta sull’atto fondativo.
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Finisce sul tavolo degli azzeccagarbugli l’ennesima querelle tra Pdl e Fli, questa volta su nome e simbolo della "casa madre". Vale più l’atto notarile costitutivo del sodalizio o lo statuto della stessa? Che si preparasse battaglia sull’emblema elettorale del partito fondato da Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, dopo che si è consumata la separazione, era scontato.Ieri a formalizzare la crisi sul "marchio di fabbrica" è intervenuto puntuale il capogruppo di Futuro e libertà alla Camera Italo Bocchino. «Dicono che Berlusconi stia preparando un nuovo partito per rinnovarsi in vista del voto. Comprendiamo la sua esigenza anche perché nome e simbolo del Pdl sono in comproprietà con Fini e non potrà utilizzarli». Da questa dichiarazione parte una dura polemica a base di documenti citati o pubblicati in fac-simile sui siti amici. I pidiellini di stretta osservanza fanno notare che il vessillo, registrato all’ufficio marchi e brevetti, appartiene al Cavaliere. Ma Bocchino non demorde: il titolare è lui, ma con un atto notarile – stipulato il 27 febbraio 2008 davanti al notaio romano Paolo Becchetti – ne ha ceduto l’utilizzo all’associazione Pdl di cui al tempo faceva parte Fini e dunque, «fino al 31 dicembre 2014 non lo può usare senza il consenso di Fini» . Segue testo integrale sul sito di Generazione Italia.A Bocchino replica subito il responsabile organizzativo del Pdl Ignazio Abrignani. «è ben noto che la vita di un partito, fondazione, associazione è disciplinata esclusivamente dallo statuto e non dall’atto costitutivo». E lo statuto all’articolo 17, sciorinano i tecnici pidiellini, conferisce il potere esclusivo su liste e contrassegni ai coordinatori o a procuratori speciali da loro nominati. E siccome a nominare i primi è il presidente nazionale (Berlusconi), è lui il titolare del simbolo.Insomma, roba da legulei. Fini O da esperti grafici e pubblicitari del ramo comunicazione politica. Bocchino stoppa un presunto ripiego del premier: "Il vero centrodestra". Fli lo ha già depositato. Ma alternative pronte all’uso il Pdl già ne ha, ben sei: con, tra gli altri, "Partito del Popolo della Libertà" e "Partito popolare della Libertà". Alla fine, quando un sodalizio politico si rompe, parte la caccia alla paternità e alla titolarità della vecchia insegna, ma anche all’ideazione di nuovi che richiamino quello del passato. Accadde, caso emblematico, già con lo scudo crociato.Ma, dice un esperto della materia, il ministro Gianfranco Rotondi, i tempi sono cambiati. «Allora era il simbolo a portare i voti, qui li prende Berlusconi». Dalle schiere del Pdl è un coro di rigetto per quella che viene definita «una discussione assurda e puerile» (Maurizio Gasparri), le «comiche finali» (Daniela Santanché), «l’ultimo dispetto» (Margherita Boniver) o un «ricatto delle carte bollate» (il numero uno dei deputati, Fabrizio Cicchitto). Ironico con gli ex compagni di partito il ministro Maurizio Sacconi, («bell’atto di amicizia»). Mentre il deputato Fabio Rampelli sottolinea di non aver mai sentito «che un gruppo interno a un partito che compie una scissione metta in dubbio il diritto del partito da cui proviene di continuare a esistere con il suo simbolo». Replica Bocchino: «Se sbaglio oppure ho ragione, lo dirà la magistatura».Tutta musica per le orecchie di Antonio Di Pietro che ha buon gioco a punzecchiare. «Non vedo a cosa serve il simbolo, se non c’è il partito».
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