venerdì 23 ottobre 2015
​Sabelli (Anm) denuncia la strategia della delegittimazione nei confronti delle toghe. La replica del Pd: critiche inegnerose.
Costa: accuse infondate. E basta con gli sconfinamenti
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​«Il disegno di legge sulla prescrizione? «Deludente». Il tema delle intercettazioni? «Riscuote più attenzione della criminalità organizzata». Le misure anti corruzione? «C’è una timidezza incoerente con la scelta di aumentare le sanzioni per alcuni reati comuni». Ma soprattutto c’è una «consapevole strategia di delegittimazione» che dipinge l’Associazione nazionale magistrati come espressione di una «corporazione volta alla difesa dei propri privilegi». È mattina quando il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli, aprendo a Bari il congresso dei rappresentanti delle toghe, sfoglia un poderoso cahier de doléances rialzando inevitabilmente la tensione nei rapporti fra esecutivo e magistratura. Se non è più tempo di scontri al calor bianco come quelli dell’era dei governi guidati da Silvio Berlusconi (lo stesso Sabelli parla di «una dinamica meno accesa nella forma, ma più complessa»), appare evidente come i provvedimenti messi in campo negli ultimi mesi dal premier Matteo Renzi e dal Guardasigilli Andrea Orlando non incontrino il favore di quanti, con la toga sulle spalle, saranno chiamate a farli applicare.Sabelli parla in presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella (ma dal Quirinale non trapelerà in serata alcun commento). Non fa nomi, ma di certo non ha gradito l’atteggiamento del premier nei mesi scorsi sulle riforme dello status dei magistrati (Renzi bollò su Facebook le critiche delle toghe come «polemiche ridicole», perché «l’Italia è patria del diritto e non delle ferie»). Per il leader dell’Anm sono stati interventi «discutibili», che «hanno preceduto persino quelli delle riforme, tuttora irrealizzate, del processo e dell’organizzazione». Ancora, secondo Sabelli, nella lotta alla corruzione, serve «più determinazione», poiché a magistrati e investigatori occorrerebbero «più penetranti strumenti di indagine e di prova». E gli stessi interventi sul processo penale sono «disorganici» e, a dispetto delle «migliorie», rischiano di produrre «disfunzioni», proprio mentre la situazione negli uffici giudiziari peggiora per le «gravi carenze» di risorse, degli organici, con lo scoperto del 70% dei cancellieri. In più, pensando forse a inchieste recenti (il caso Ilva di Taranto, ad esempio), Sabelli evoca pure il rischio di subordinare la giustizia a ragioni di borsello, contando sull’idea che «a minori controlli» della magistratura corrisponda «una maggiore crescita» dell’economia. Infine, il presidente dell’Anm entra nel dibattito in corso in Parlamento lamentando le «persistenti» lacune legislative «in materie delicate, quali i rapporti di convivenza e il fine vita, oggetto di casi giudiziari anche drammatici», lamentando l’impegno «difficile e solitario» dei giudici «a fronte di una richiesta di giustizia che viene da una società in continua evoluzione».Le frecciate non piacciono al vicepresidente del Csm Giovanni Legnini («Bisogna essere equi nel valutare l’impegno del Parlamento sul contrasto alla mafia e alla corruzione») nè tantomeno al Pd, che col responsabile giustizia David Ermini, parla di critiche «ingenerose, fino ad oggi né il governo né il Parlamento hanno messo mano al sistema delle intercettazioni». Il premier-segretario Matteo Renzi, dal Sudamerica, non commenta. L’impressione è che nel governo non ci sia voglia di uno scontro duro con la magistratura, in un momento in cui le forze sane del Paese dovrebbero fare muro insieme contro la malapianta corruttiva. Lo fanno intendere i toni soft del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, presente a Bari («Ho sentito il discorso di Sabelli e non mi pare che i titoloni su siti e giornali corrispondano») e del ministro Orlando (che oggi sarà al congresso dell’Anm), che si limita a rivendicare gli interventi per riorganizzare gli uffici giudiziari e «i provvedimenti per contrastare criminalità organizzata e corruzione» già «approvati o in un iter ben più avanzato dell’intervento sulle intercettazioni». Affilata, sul fronte delle opposizioni, la chiosa del segretario della Lega Matteo Salvini: «Sono i magistrati che, col loro agire, spesso si delegittimano».
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