venerdì 30 marzo 2018
Il ministro del Lavoro: che sia il Movimento 5 stelle o la Lega o il centrodestra a conquistare Palazzo Chigi non vanno smontati né il Jobs act né la riforma del Terzo settore né il Rei
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti

Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti

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«Un consiglio al prossimo governo? Non perda mesi ed energie a distruggere quel che è stato fatto, perché poi rischia di non avere né tempo né risorse per costruire qualcosa di nuovo. Se si hanno idee forti, si può dimostrarlo benissimo partendo dagli strumenti esistenti, rafforzandoli e migliorandoli».

Il messaggio del ministro del Lavoro Giuliano Poletti è velato ma non troppo: che sia il Movimento 5 stelle o la Lega o il centrodestra a conquistare Palazzo Chigi non vanno smontati né il Jobs act né la riforma del Terzo settore né, soprattutto, il Reddito di inclusione.

Ministro, il Rei è partito bene, però non basta. Copre 900mila persone, solo un quinto di quelle in povertà assoluta e si arriverà al massimo a meno della metà rispetto ai 4,7 milioni di indigenti. Andrebbe allargato e potenziato.

Sì, andrebbero aumentate le dotazioni per raggiungere una platea più vasta e con importi maggiori per assicurare una vita più dignitosa a chi ha bisogno. In parte questo è già previsto, perché le risorse impegnate cresceranno dai 2 miliardi di quest’anno ai 3 miliardi di euro nel 2020, mentre già da luglio l’accesso al Rei diventerà universale, senza più condizionalità riguardo alla composi- zione del nucleo familiare.

Forse è anche su questo che il Pd ha perso le elezioni. Se avesse investito più risorse sul Rei, l’attrattiva della promessa del reddito di cittadinanza sarebbe stata minore...

Probabilmente il risultato ha diverse cause. Sia chiaro: avremmo voluto anche noi impegnare più fondi nel contrasto alla povertà, ma abbiamo dovuto fare i conti con il rigore di bilancio. Se il nuovo governo e il Parlamento riusciranno a individuare altre risorse da destinare al Rei sarei d’accordo e contento.

Allora andrebbe già iscritta una posta maggiore nel Def che approverete a giorni? In questa fase non credo sia possibile. Più importante è però assumere l’impegno di mantenere e rafforzare l’impianto dell’intervento previsto dal Reddito di inclusione. Assieme all’importo erogato, infatti, è prevista la presa in carico dei soggetti interessati, con i servizi di avviamento al lavoro, di assistenza sanitaria e sociale. Interventi coordinati con i Comuni, i servizi territoriali e le associazioni del Terzo settore. Una collaborazione fondamentale per l’efficacia dell’intervento, per far sì che le persone escano, accompagnate sì, ma 'con le loro gambe' dalla situazione di povertà.

Il Rei è stato costruito in stretta collaborazione con gli enti locali e le associazioni riunite nell’Alleanza contro la povertà. Le forze uscite 'vittoriose' dalle urne hanno un’impostazione o molto statalista o comunque poco incline a valorizzare l’intermediazione dei corpi sociali. C’è il rischio che questa concertazione venga interrotta?

Spero proprio di no. E se accadesse sarebbe un grave errore. La legge che ha istituito il Rei prevede, tra l’altro, che il governo e tutti gli altri soggetti coinvolti redigano un Piano nazionale di contrasto alla povertà, che è un fenomeno complesso, con mille sfaccettature e cause. Solo insieme, concertando gli interventi, è possibile pensare di porvi rimedio.

La scarsa sensibilità in termini di sussidiarietà potrebbe essere un pericolo anche per la riforma del Terzo settore? L’avete completata?

Non ancora e manca il parere delle Camere sui decreti correttivi. Smontare una riforma che non solo stimola lo sviluppo di un universo composito – fatto di oltre 330mila associazioni, 5,5 milioni di volontari, oltre 1 milione di occupati diretti – ma che impone a tutti i soggetti una maggiore rendicontazione e trasparenza nell’utilizzo delle risorse sarebbe un enorme errore che credo nessuno vorrà compiere. Se c’è da migliorare qualcosa, per carità ben venga, ma non si pensi di smontare tutto.

Intanto sono ripartiti gli incentivi alle assunzioni stabili per i giovani e per il Sud. Che segnali avete? Riguardando indietro: non avete liberalizzato troppo i contratti a termine?

I segnali che l’Inps ci ha fornito per il solo gennaio sono positivi: sono ripartite le assunzioni a tempo indeterminato. Il Jobs act ha funzionato. La direzione da mantenere è quella di far scendere in maniera stabile e strutturale il costo del contratto a tempo indeterminato perché convenga sempre di più.

Garanzia giovani ha un bilancio in chiaro scuro: per la gran parte si offrono ai giovani stage sussidiati o veri e propri lavori travestiti però da tirocinio, senza contenuto formativo. E il numero dei neet non è calato.

Non è così. I neet sono in calo, seppure non di molto. Ma soprattutto il 50% di tirocini finisce con un contratto di lavoro e, con i progetti sulla digitalizzazione, molti giovani hanno avuto non solo l’opportunità di formarsi ma, grazie a una stretta collaborazione con le aziende, anche di trovare subito un’occupazione. È ora di cambiare il giudizio su questo programma.

Cosa direbbe in conclusione al nuovo governo?

Se volete dimostrare di essere migliori, non buttate giù le costruzioni che sono state faticosamente erette in questi anni, ma partite da quelle fondamenta per immaginare il futuro.

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