venerdì 30 dicembre 2022
Passeremo i primi giorni del 2023 “all’ombra del dragone”, con lo spauracchio cinese. Eppure è la variante Omicron ad essere osservata in oltre il 99% dei casi
Covid, per ora nessuna mutazione pericolosa. Giusto tamponare e sequenziare

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Passeremo i primi giorni del 2023 “all’ombra del dragone”, con lo spauracchio di una Cina motore di una nuova ondata di Covid-19, legata, forse, a sconosciute e misteriose varianti più contagiose e aggressive. Un’ombra che riporta alla mente quanto già vissuto tre anni fa, all’inizio della pandemia.

Eppure, i dati sulla diffusione delle varianti nel mondo che si ricavano da Gisaid, il database aperto ai dati genomici dei virus mostrano una situazione non nuova e, anzi, consolidata negli ultimi sei mesi: la variante Omicron, con le sue sottovarianti e ricombinazioni, viene osservata in oltre il 99% dei casi sequenziati.

A livello mondiale, Omicron 5 (BA.5), che è stata responsabile di oltre l’80% dei casi osservati nella scorsa estate, è stata sostituita dalla variante nota come Cerberus (BQ.1), ora presente in circa la metà dei casi sequenziati, a fronte di circa il 24% di casi ancora provocati dalla precedente BA.5.

A queste si aggiungono la ricombinazione XBB, nota come Gryphon, di cui si parla in questi giorni, presente ad oggi solo nel 15% dei casi sequenziati, ed altre varianti ormai minoritarie. Il picco di casi, ospedalizzazioni e decessi osservati recentemente in Cina è tuttavia allarmante per i numeri assoluti, seppur ufficiosi, che vengono diffusi.

La nuova ondata cinese viene associata, nell’immaginario comune, al diffondersi di Gryphon (presente nel 24% dei casi sequenziati nel continente asiatico, quindi più che nel resto del mondo), ma l’assenza di dati affidabili non consente di affermare che ci sia un nesso di causalità né con Gryphon né con il diffondersi di nuove varianti.

Quello che è certo è l’elevata contagiosità del ceppo legato ad Omicron, come si è visto anche da noi nei mesi passati. In base alle stime disponibili, circa solo un quarto della popolazione cinese ha sviluppato un certo grado di immunità, la componente anziana è ampiamente esposta al virus e l’efficacia dei vaccini utilizzati è limitata, inferiore a quella dei vaccini a nostra disposizione in Italia.

Terreno fertile per il diffondersi di Omicron in tempi rapidi, una volta abbandonata la strategia di chiusure coercitive, la cosiddetta “strategia Covid zero”, che non ha prodotto gli effetti sperati. Anzi. In Cina si sta vivendo la stessa situazione che noi abbiamo osservato in Europa e in Italia all’inizio del 2022, con la differenza che le conseguenze, in termini di ospedalizzazioni e decessi, in una popolazione anziana e non vaccinata sono estremamente peggiori. Dimostrazione, laddove fosse ancora necessario, di come l’avvento dei vaccini ci abbia consentito in questi mesi una convivenza con il virus, limitandone gli effetti più gravi sulla popolazione.

Tornando ai dati, dai primi studi pubblicati, Gryphon non sembra avere particolare aggressività né la forza per diventare dominante. Basti vedere che, sebbene entrambe presenti soltanto da settembre scorso, Cerberus e Gryphon si sono diffuse in modo ben diverso nella popolazione mondiale.

Ad inizio settembre, Cerberus veniva riscontrata nel 3% dei casi e Gryphon in circa l’1%. Ad oggi le percentuali per le stesse varianti sono pari al 47% e al 15% (solo il 6% in Europa e soltanto il 2% in Italia), rispettivamente. È evidente come Cerberus abbia preso il sopravvento sulla variante BA.5, limitando anche il diffondersi massivo di Gryphon. Tuttavia, come già visto in passato, la probabilità di osservare nuove varianti è tutt’altro che remota.

Oltre a quelle note, sono centinaia le mutazioni del virus osservate, ma di cui non abbiamo sentito parlare, e altre ne verranno. In questa ottica, l’iniziativa del Governo di sequenziare i casi positivi in arrivo dalla Cina è la giusta via, tempestiva, per anticipare l’arrivo di nuove ondate legate a varianti non ancora presenti sul territorio nazionale e per rilanciare il sequenziamento, che purtroppo finora non è mai stato ai livelli degli altri Paesi europei.

Negli ultimi 30 giorni, sempre con riferimento ai dati Gisaid, in Italia è stato sequenziato lo 0,241% dei casi (cioè 1.676 su 695.921). In media 56 sequenziamenti al giorno! In Europa siamo al 22° posto. Meglio di noi anche Romania, Slovenia, Moldavia e Polonia. Tra i principali Paesi europei, solo la Francia (0,134%) e la Grecia (0,009%) hanno sequenziato meno. L’attuale situazione epidemiologica italiana, per fortuna, non desta particolari preoccupazioni, con gli indicatori ospedalieri stabili o in discesa pressoché ovunque sul territorio nazionale.

Tuttavia, per evitare nuove fiammate improvvise, inaspettate e dalle conseguenze ignote, è fondamentale avere dati affidabili e tempestivi sulle mutazioni del virus e sulla prevalenza delle singole varianti, in modo tale da poter avere previsioni realistiche sull’evoluzione di breve periodo dell’epidemia, così da non doverlo rincorrere come invece successo in passato. La Cina continua a far paura, ma ora abbiamo gli strumenti per anticipare, monitorare e gestire la pandemia, senza dover ricorrere a misure drastiche come le chiusure totali del 2020.

Professore Ordinario di Statistica Università Lumsa

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