mercoledì 13 aprile 2022
Mario Mauro, che è anche ex delegato per la libertà religiosa dell’Osce: non basta portare al tavolo aggredito e aggressore, sono in gioco i nuovi equilibri mondiali
L’ex ministro della Difesa Mario Mauro

L’ex ministro della Difesa Mario Mauro - Ansa

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«Per favorire i negoziati di pace si deve ripartire dall’Osce», garante degli accordi di Minsk, «che non è stata messa in grado di svolgere il proprio compito». Per Mario Mauro è la strada migliore per preparare il terreno alla visita del Papa a Kiev, includendo l’Osce, in una visione più estesa di Europa, anche nazioni 'terze' come la Turchia o paesi della Ue, come l’Austria, che non sono nella Nato, oltre alla stessa Santa Sede. L’ex ministro della Difesa, ed ex vice presidente del Parlamento europeo, parla soprattutto da ex delegato per la libertà religiosa dell’Osce: «Bisogna evitare di trasformare il conflitto ucraino in una guerra fra religioni», dice.

L’escalation bellica e di sanzioni sembra preludere a tutto meno che al negoziato di pace. Spes contra spem, si può ancora sperare?

Il viaggio del cancelliere austriaco Karl Nehammer a Mosca conferma che le carte per un negoziato possono essere ancora spese. Ha ragione Nehammer nel dire che la diplomazia telefonica non basta. Occorre sfruttare la neutralità di paesi come l’Austria. La guerra in Ucraina è il pretesto che la Russia usa per un confronto a tutto campo con l’Occidente, per questo bisogna mettere attorno al tavolo non solo i diretti contendenti, ma tutti gli attori dello scenario globale. Non a caso già diversi anni fa il Pontefice parlava di 'guerra mondiale a pezzi'. La vera posta in gioco sono i nuovi equilibri mondiali.

L’Onu sembra fuori gioco, la Nato è parte in causa, ma anche la Ue lo è diventata. Si può ripartire dall’Osce per far ripartire i negoziati?

Nei giorni precedenti il voto francese Macron ha provato a rilanciare il 'Formato Normandia' per ridare vita al dialogo tra Russia, Ucraina, Francia e Germania ripartendo proprio dagli accordi di Minsk. Questa è sempre stata la posizione anche del-l’Italia, lo stesso Draghi il 22 dicembre scorso, nella conferenza stampa di fine anno, ha ribadito che «le relazioni tra Ucraina e Russia sono disciplinate dagli Accordi di Minsk che non sono stati osservati da nessuna delle due parti. La loro osservanza quindi potrebbe essere il primo passo». L’Italia può essere determinante per rilanciare il ruolo dell’Osce in cui troverebbe idonea collocazione anche l’intelligente lavoro di mediazione della Santa Sede che di quel consesso è membro autorevole.

L’Italia si ritaglia il ruolo di garante, con altri Paesi. Ruolo che già svolgiamo da tempo alla guida della forza di interposizione in Libano. Possiamo riprovarci o ci siamo a nostra volta bruciati la possibilità?

Il nostro è il contributo più rilevante alla forza multinazionale Onu in Libano. La grande influenza costruita tramite i nostri militari nel corso degli anni può essere di esempio per chi fosse chiamato a interpretare il ruolo di forza di interposizione nel conflitto russo-ucraino. Al momento, certo, è difficile che la Russia accetti la presenza di forze terze sul terreno di battaglia. Ma bisogna iniziare un cammino di misure di fiducia, una logica dei piccoli passi, che parta innanzitutto dal riconoscimento del male compiuto ai danni della popolazione civile. Passo necessario perché la prospettiva di pace non appaia una resa alla volontà del più forte.

Che prospettive vede per la visita che il Papa è pronto a compire, a Kiev?

L’idea vaticana di favorire i negoziati tra Russia e Ucraina era emersa già due anni fa. Ma ora va fatto ogni sforzo per convincere la Russia ad avviare le trattative, in questa terribile situazione papa Francesco è uno dei riferimento più cari al popolo ucraino, anche per i non cattolici, e ogni suo gesto è considerato d’aiuto alla popolazione provata per la tragedia della guerra, che vuole una pace rispettosa della verità, anelante la giustizia e garante della libertà. I tempi sono difficili e ogni gesto rischia di prestarsi a strumentalizzazioni. Se il Papa poggierà i piedi sulla terra ucraina, non lo farà nell’interesse del governo ucraino ma in quello più grande di due popoli che attraverso il perdono possono ricostruire il cammino per la pace.

Anche i gesti religiosi possono essere di aiuto?

Dopo la consacrazione a Maria di entrambe le Nazioni va in questa direzione anche la decisione del Santo Padre di scegliere come portatrici della croce nella via Crucis due infermiere, una ucraina e una russa che lavorano in Italia. Gesti che indicano come possibile che la guerra si fermi se si è capaci di riconoscere l’altro come necessario per sé. Sì, io veramente credo che se per il Papa si creeranno le condizioni per andare in Ucraina, la guerra possa fermarsi. È una considerazione di carattere politico, la mia. È un gesto che renderebbe la pace più plausibile. Analogamente sarebbe di grande importanza un nuovo incontro con il Patriarca di Mosca, non a caso tanto auspicato dal Papa.

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