martedì 9 luglio 2013
In Emilia Romagna un centro residenziale gratuito. La «cura» avrà un ciclo che va da un minimo di tre settimane ad un massimo di tre mesi Niente finanziamenti statali. Fondi da Regione e onlus.
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Non c’è ancora un fondo nazionale per il recupero dei giocatori patologici, ma dopo Toscana e Piemonte, anche la Regione Emilia Romagna ha deciso di finanziare una sperimentazione per l’accoglienza residenziale dei ludopoatici. Se ne occuperà l’Associazione Papa Giovanni XXIII, che dopo una fase di messa a punto ha individuato una località, in provincia di Reggio Emilia, che rimarrà segreta e nella quale per tre settimane verranno affrontati i casi più difficili.Per i cittadini l’accesso alla struttura sarà gratuito. La necessità di un centro aperto tutto l’anno è dettato da statistiche tutt’altro che incoraggianti. «Dai dati dei Monopoli di Stato si prevede che nella sola Emilia Romagna vi sarà una spesa annuale di quasi 6 miliardi di euro (5.888 milioni), che divisi per la popolazione maggiorenne regionale – osservano dall’associazione che si occupa del progetto – significano una spesa procapite di quasi 1.590 euro. Ad un gioco d’azzardo in continuo aumento corrisponde un numero sempre crescente di persone che perdono il controllo del gioco e che ne diventano dipendenti».Grazie ai finanziamenti della Regione e all’impegno finanziario del «Centro sociale Papa Giovanni XXIII», diventa stabile il percorso di disintossicazione che nel 2011 aveva visto la partecipazione di 15 giocatori patologici. Con il progetto "Pluto" (dal nome del mitologico "dio del denaro"), uno staff di professionisti seguì per 21 giorni gli scommettitori compulsivi, ottenendo risultati incoraggiante.«I ricoveri saranno brevi e personalizzati, da due settimane a tre mesi», ha spiegato Umberto Caroni, responsabile dell’Azzardo Point del Centro Sociale Papa Giovanni XXIII. «Il numero di utenti accolti sarà basso (6 persone alla volta di entrambi i sessi), e gli invii saranno decisi insieme alle aziende sanitarie locali competenti». Le attività terapeutiche saranno quelle «che si sono già dimostrate efficaci nella precedente sperimentazione: test diagnostici specifici, colloqui individuali, gruppi psicoeducativi con una trentina di contenuti diversi, lezioni specifiche sul gioco d’azzardo e i pensieri cognitivi erronei, consulenze legali e sulle forme di sovraindebitamento e attività culturali, ricreative e ludiche, ovviamente senza denaro in palio».Per don Armando Zappolini, presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), a cui appartiene l’Associazione Centro Sociale Papa Giovanni XXIII, l’apertura conferma come i bisogni «nel caso del gioco d’azzardo patologico, hanno assunto una rilevanza tale che non possono più essere affrontati con interventi e finanziamenti occasionali. Va garantito il rispetto dei livelli essenziali di assistenza con risorse e strutture permanenti adeguate».Questo tipo di malattia ha una evoluzione subdola. «Progressivamente – spiegano i promotori – si esprime senza che l’interessato abbia modo di accorgersene, colpisce senza distinzione di censo, età, classe sociale d’appartenenza; quando succede occorre sapersi fermare, conoscere il tipo di gioco che si pratica, e capire come difendersi dalla dipendenza».Prima di ieri «se alcuni giocatori d’azzardo facoltosi avevano già l’opportunità di seguire terapie in costose cliniche private per "disintossicarsi", ben poco - ha affermato Matteo Iori, presidente dell’Associazione Centro Sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia – potevano fare i semplici cittadini che magari, proprio per il gioco d’azzardo, avevano dilapidato anche le ultime risorse familiari».
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