mercoledì 27 ottobre 2021
La proroga di Ape sociale e di Opzione donna non basta a Cgil, Cisl e Uil, che rifiutano un nuovo incontro oggi. E sul fisco zero decisioni: si rinvia alle Camere
Pensioni, Draghi lascia il tavolo e i sindacati non escludono lo sciopero
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Forte tensione e nessuna intesa tra governo e sindacati sulla manovra. Nell’incontro di ieri sera a Palazzo Chigi si è arrivati a un passo dalla rottura. E ora Cgil, Cisl e Uil vanno verso una mobilitazione unitaria. Le cui forme saranno decise dopo il varo della legge di bilancio. Ma già si parla di sciopero. È braccio di ferro, dunque, dopo che Mario Draghi ha fatto capire di non voler scartare dall’impianto finanziario già delineato del Dpb inviato a Bruxelles e giudicato «largamente insufficiente» dalle confederazioni. E che va a sommarsi alla battaglia di Matteo Salvini, che dall’interno delle maggioranza continua a battersi contro un ritorno alla legge Fornero per le pensioni.

«Non è andata bene», ha sintetizzato all’uscita il leader della Uil Pierpaolo Bombardieri. E subito dopo Luigi Sbarra, capo della Cisl, ha parlato di «assoluta insoddisfazione». I leader sindacali hanno escluso che oggi si tenga un nuovo colloquio sul tema, anche se è confermato l’incontro a Palazzo Chigi sul Labour 20. Maurizio Landini, segretario Cgil, pur annunciando «iniziative» se la situazione non cambierà, non ha chiuso la porta: «Se il governo ci vuole chiamare prima di giovedì (quando è atteso il Cdm, ndr) siamo pronti», ma «ci sono cose da cambiare».

Il vertice è durato un paio d’ore ma Draghi se ne è andato anzitempo, quando è stato chiaro che non c’era affatto aria di accordo, lasciando al tavolo i ministri Daniele Franco (Economia) Andrea Orlando (Lavoro) e Renato Brunetta (Pa). A detta di chi c’era, il premier è parso irritato dalla linea ferma dei sindacati. Riguardo alla previdenza, il governo ha dato rassicurazioni sulla proroga di Opzione donna (meccanismo che permette l’uscita anticipata delle lavoratrici con una penalizzazione) e per l’estensione dell’Ape sociale ad altre categorie di lavoratori gravosi. Misure sulle quali i sindacati sono d’accordo, ma che considerano come un atto dovuto.

L’esecutivo non ha promesso nulla di più. Draghi non ha parlato specificatamente di Quota 102 mentre la richiesta sindacale di introdurre una nuova forma di flessibilità strutturale per l’uscita dal lavoro a partire dai 62-63 anni di età non è stata presa in considerazione. Tutto fermo anche sugli stanziamenti aggiuntivi ai 600 milioni indicati nel Dpb, presupposto per qualunque intervento di peso sull’assetto delle pensioni. «Le pensioni non sono un dettaglio di costo, c’è un problema di sostenibilità sociale, non sono un lusso o una regalia», ha osservato Sbarra.

Ma per i sindacati non bastano nemmeno le risorse per altri capitoli, come per la riforma degli ammortizzatori sociali, alla quale sono destinati in tutto 3 miliardi. Bombardieri ha rimarcato che il governo non ha fatto scelte neppure sulla destinazione degli 8 miliardi di tagli alle tasse. L’intenzione infatti è di postare i soldi in un fondo apposito e poi lasciar decidere le Camere sulla ripartizione tra imprese e dipendenti. Mentre Landini ha messo nel mirino pure la ripresa occupazionale basta su lavori precari.

Insomma, grande distanza. Che rischia di riverberarsi ora anche sulle posizioni dei partiti. Il leader del Pd Enrico Letta in mattinata aveva espresso così la sua posizione sulle pensioni: «Il sistema delle quote non è lo strumento giusto, c’è bisogno di un meccanismo che con flessibilità possa discernere sul fatto che non siamo tutti uguali, una soluzione che eviti lo scalone ma intervenga sulle questioni chiave, il lavoro femminile e i lavori gravosi e usuranti». Salvini da parte sua ha ribadito il no alla Fornero: l’età pensionabile «la vogliamo riportare più bassa possibile, con un intervento che duri un anno, poi il Paese andrà a votare e deciderà».

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