sabato 17 novembre 2018
In campo sette candidati, ma la vera sfida sarà tra Zingaretti, Minniti e Martina. La sferzata delle delegata Tarasconi: gli elettori non capiscono le correnti, ritiratevi tutti
Sciolta l'assemblea, aperte le procedure per la nuova leadership
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Il via al Congresso è stato dato: l'assemblea del Partito Democratico ha recepito le dimissioni del segretario Maurizio Martina e sciolto tutti gli organi in carica. La direzione, convocata subito dopo la plenaria del parlamentino dem, ha quindi nominato la Commissione Congresso, organismo che regge il partito in assenza di segretario e che fisserà, nei prossimi giorni, la data delle primarie: il 3 marzo dovrebbe essere la prima data buona, anche se in molti chiedono di anticipare i tempi per non farsi trovare impreparati per il voto delle europee di maggio. Tra questi, anche gli eurodeputati Pd che scrivono a Maurizio Martina e Matteo Orfini: «Ora che nel Pd si stanno definendo le date del percorso congressuale e delle primarie sentiamo il bisogno di sottolineare che, con il calendario attuale, rischiamo di non avere il tempo necessario per arrivare sufficientemente preparati alle più importanti elezioni europee della storia dell'Ue».


Ma anche esponenti di primo piano come il capogruppo Graziano Delrio hanno chiesto di stringere sul congresso, anche prevedendo deroghe allo Statuto. Quanto non è avvenuto in assemblea che ha proceduto speditamente verso il congresso senza prendere in esame - come già stabilito dalla Commissione Satuto - alcuna modifica. Se i tempi sono certi, altrettanto non si può dire dei candidati. Per ora in campo ci sono Nicola Zingaretti, Matteo Richetti, Francesco Boccia, Cesare Damiano e Dario Corallo. Rimangono in stand-by Maurizio Martina e Marco Minniti. L'ex ministro dell'Interno scioglierà la riserva domani: tramontata l'ipotesi di un ticket con la renziana Teresa Bellanova, si presenterà come candidato autonomo dalle correnti, sebbene sia suo il nome su cui da Matteo Renzi punta come prossimo segretario Pd. Alcuni esponenti vicini a Renzi, prima dell'inizio dell'assemblea, parlano addirittura di tensioni con Minniti causate proprio dall'ipotesi di un ticket con l'ex sindacalista Cgil. Ricostruzioni smentite da altri esponenti renziani: nulla di tutto questo, spiegano, aggiungendo che la richiesta del ticket "non è mai stata avanzata". Grande assente l'ex segretario Matteo Renzi.

Al netto delle ricostruzioni, oggi è stato il tweet di un renziano doc come il sindaco di Pesaro, già responsabile Enti Locali del partito, Matteo Ricci a segnalare che «più di 500 sindaci hanno già firmato l'appello per Minniti». L'ex titolare del Viminale ha scelto di attendere per ufficializzare la sua candidatura per rimarcare questa sua autonomia: ieri, infatti, Minniti era atteso a Firenze per la presentazione del suo libro e "sciogliere la riserva" a poche ore dall'appuntamento con l'ex segretario avrebbe rischiato di politicizzare l'iniziativa in chiave renziana.

Diverso il discorso per Maurizio Martina che, da segretario, era tenuto a garantire una gestione il più possibile super partes della fase precongressuale e, di certo, non poteva approfittare del palco dell'assemblea per lanciare la sua candidatura. Anche lui attenderà le prossime ore, anche se una parte del suo intervento, quella in cui faceva un in bocca al lupo ai candidati, è stata interpretata come un passo indietro. Niente di tutto questo, Martina - salvo ripensamenti che avrebbero dell'eclatante - dovrebbe essere della partita.

Nell'attesa, Nicola Zingaretti prosegue nella sua corsa in solitaria. La sua mozione congressuale si
arricchisce di giorno in giorno di contenuti. Dopo una parte economica che prevede «più spending e meno review» anche con l'ausilio di commissari ad hoc, arriva anche il capitolo dedicato alla vita del partito. Stop al doppio incarico e primarie davvero aperte a tutti, al punto da eliminare "l'obolo" dei due euro per votare ai gazebo. meglio sostituirlo con una sottoscrizione volontaria, spiega. La priorità, stando almeno a quanto emerge dagli interventi dal palco, sembra essere tuttavia l'unità del partito. In molti paventano un congresso "lacerante", per dirla con Piero Fassino, e "unità" è anche il concetto centrale nell'ultimo intervento da segretario di Martina: «Mettiamo in campo insieme una nuova stagione di unità. Capita che in una forza come la nostra troppo spesso non riusciamo a fare prevalere gli elementi che ci uniscono e che sono tanti e prevalenti rispetto a quelli che ci dividono. Mettiamo in campo un congresso in grado di stupire l'Italia per la sua concretezza, correttezza e capacità di creare unità vera».

In mattinata a sferzare la platea ci aveva pensato ancora una volta la delegata Katia Tarasconi, intervenuta subito dopo Martina. Già quest'estate, aveva sorpreso tutti con parole molto dure («Siete folli») contro il partito. E stamattina non si è smentita: «Ritiratevi tutti. Liberate il Pd. Lo scorso 7 luglio ho fatto a questa assemblea un discorso molto duro e sono rimasta sorpresa da quante persone hanno condiviso quel discorso. Siete ancora così accecati dalle vostre esigenze personali da non capire che le nostre divisioni, correnti, la nostra presunzione non ci hanno fatto più capire dalla gente. Parlate di fuoco amico ma sono stati gli elettori a fare fuoco contro di noi. Fuori di qui a nessuno interessa chi sta e chi non sta con Renzi, Martina, Zingaretti, Minniti. Per una volta provate a essere una squadra. Basta con l'arroganza. Faccio una proposta: io dico ritiratevi tutti, fate un passo indietro e ripartiamo non dai nomi ma delle idee, riapriamo dallo riscrivere lo Statuto e lo dobbiamo fare noi delegati in assemblea e non i vertici».





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