martedì 23 aprile 2013
Oggi la Direzione dopo le dimissioni di Bersani e di tutta la segreteria. Vento di scissione, ma si invoca chiarezza. Renzi pronto a dire la sua. Appuntamento per il "parlamentino" di largo del Nazareno. Tensione sul governo di larghe intese. Anche il sindaco di Firenze sarà presente alla riunione.
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Non fa paura l’ipotesi della scissione, o meglio, della fuoriuscita dei contestatori del governo di larghe intese. Anzi, è «l’ipocrisia che abbiamo visto nelle ultime Direzioni» il vero pericolo del Pd: «È arrivato il momento della chiarezza, basta con l’opportunismo», tuona Beppe Fioroni. I democratici raccolgono i cocci nella Direzione di oggi, e, dopo la catastrofe dei giorni passati e l’intervento salvifico di Giorgio Napolitano, non sono ammessi doppi giochi: «Mi pare inevitabile», chi non vota la fiducia al governo «è fuori dal partito», scandisce Dario Franceschini. Un "mantra" ripetuto anche da Rosy Bindi e Anna Finocchiaro. Soprattutto una risposta senza appelli a chi come Matteo Orfini parla del voto di fiducia come un voto «di coscienza». E al malcontento diffuso sull’ipotesi del governo Pd-Pdl.Chiarezza è dunque la parola chiave con cui si apre oggi pomeriggio il "parlamentino" democratico che raccoglie l’eredità di Pier Luigi Bersani. E chiarezza andrà fatta anche sulla gestione del Pd da qui al Congresso, fissato in autunno, che qualcuno vorrebbe anticipare. Bisogna individuare il traghettatore, che non può essere il vice Enrico Letta (quasi certamente nell’esecutivo). C’è chi vorrebbe che Bersani rimanesse fino a quella data (è stata avviata già una raccolta di firme da presentare questo pomeriggio).Ma al di là della gestione e della scelta della delegazione che domani andrà alle consultazioni (sicuri sono solo i due capigruppo Zanda e Speranza, ma dovrebbe esserci anche Enrico Letta), è il nodo politico ancora tutto da sviscerare. Dopo le dimissioni del segretario, sono in molti a concedere a Bersani l’onore delle armi. E soprattutto a non voler scaricare su di lui l’intera croce. Anche Matteo Renzi considera le dimissioni un «segno di serietà». Bersani, dice il sindaco rottamatore, «ha sperato di convincere il Movimento 5 Stelle» a dare la fiducia al governo «e ha fatto bene, ma il problema è che M5S ha detto subito di no. Bersani ha preso atto del fallimento e ha lasciato il posto».Ma quel posto non è mai stata la prima ambizione renziana. Il sindaco di Firenze avrebbe preferito puntare al governo senza passare per la poltrona di largo del Nazareno. E anzi, di fronte al possibile ticket con Fabrizio Barca (segretario questi e lui a Palazzo Chigi), Renzi, che dà un anno di tempo al nuovo governo, non sembra arreso: «Vedrò Barca in questi giorni». Certamente la partita per il primo cittadino di Firenze è tutta aperta e il sindaco ammette invece compiaciuto di avere «l’ambizione di cambiare il Paese», ma non in questa fase. Oggi piuttosto sarà alla Direzione per cominciare a muoversi dentro al vertice pd. È solo l’inizio, «non credo di essere particolarmente portato per fare il segretario del Pd vecchio stile. Se invece il Pd è una cosa che serve al Paese...», commenta a La7.Dunque oggi i nodi cominceranno a venire al pettine. E sarà il momento della chiarezza, con la fiducia al governo come cartina di tornasole. Spiega ancora Franceschini: «Quando si vota in un organismo di partito e si decide la fiducia è la natura stessa del partito, non puoi avere metà partito in maggioranza e metà fuori». Concorda Andrea Orlando: «Sono contrario ad un governo Pd-Pdl ma non penso che il voto di fiducia sia un voto di coscienza. Ci si attiene al voto di maggioranza».
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