giovedì 11 marzo 2010
È unanime il riconoscimento che la legge «rappresenta un passaggio storico nella legislazione italiana» e «fissa un punto di non ritorno» per l’intero sistema scolastico. Ma senza un’adeguata erogazione di fondi il principio rimane solo sulla carta.
COMMENTA E CONDIVIDI
Dieci anni dopo, la parità scolastica è una sfida tutt’altro che vinta. Anzi, al termine del primo decennio di vita della legge 62, che nel marzo 2000 diede vita al nuovo sistema scolastico nazionale integrato, la sfida è ancora aperta. Lo sanno bene le centinaia di scuole paritarie che ogni anno devono destreggiarsi tra molti ostacoli burocratici ed economici, senza, però, perdere quel gusto nell’essere protagonisti nel processo educativo delle nuove generazioni. Ma anche le decine di migliaia di famiglie i cui figli sono iscritti in questi istituti, che, nonostante il riconoscimento della libertà di scelta educativa, devono farsi carico di un costo economico per poter esercitare tale diritto costituzionale, vivono sulla propria pelle l’incompiutezza della legge sulla parità scolastica.Dieci anni sono, dunque, l’occasione per fare un bilancio della legge 62/2000, che tutte le associazioni della scuola paritaria riconoscono comunque come «un punto fermo. Un tassello – spiega Maria Grazia Colombo, presidente nazionale dell’Associazione genitori scuole cattoliche –, che ha riconosciuto il servizio pubblico svolto dalle paritarie. Almeno dal punto di vista legislativo». Su quello dell’opinione pubblica, invece, «pregiudizi e stereotipi faticano a scomparire» e sono sempre pronti a far compiere passi indietri al dibattito su questo tema.Persino «all’interno della burocrazia ministeriale – sottolinea Vincenzo Silvano presidente nazionale della Foe - Cdo Opere educative – a volte continua a dimenticarsi che nel nuovo sistema scolastico nazionale vi sono le scuole statali e quelle paritarie, rivolgendo circolari o atti ministeriale come se fosse rivolti soltanto alle prime». Insomma, come chiosa con un pizzico di amarezza don Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae, la federazione che riunisce le scuole cattoliche dalla primaria alle superiori, «si fatica a percepire la scuola paritaria come un patrimonio dell’intero sistema scolastico nazionale». Forse, come aggiunge Luigi Morgano segretario nazionale della Fism, che riunisce le materne di ispirazione cristiana, «si fatica a comprendere che la parità scolastica non solo si colloca all’interno delle libertà e dei diritti civili del cittadino, ma ha una forte valenza educativa». Già perchè le scuole paritarie hanno fatto della qualità, il loro obiettivo prioritario, ancora prima che arrivasse la legge 62. Una ricerca di qualità a tutto campo: nel rapporto educativo, nel percorso di formazione della persona nella propria integrità, nel servizio offerto a studenti e famiglie. «Temi sui quali non abbiamo mai smesso di lavorare» rivendica Morgano a nome di tutte le associazioni.Obiettivi, che comportano impegno professionale del personale e anche costi. E proprio il capitolo economico è il punto debole della legge 62. Lo era dieci anni fa e «lo è rimasto» dicono all’unisono le associazioni della scuola paritaria. «Il sostegno economico adeguato – dice Morgano della Fism – è un elemento irrinunciabile della parità, perché la scuola paritaria è parte integrante del sistema nazionale, e svolge pienamente un servizio pubblico come la scuola statale. Ecco perchè alle famiglie deve essere garantita equità nell’accesso al sistema». Parole condivise dalla presidente dell’Agesc Colombo, che, mentre ricorda come «la presenza di questa fetta del sistema permette allo Stato di risparmiare 6 miliardi di euro l’anno», sottolinea anche che «completare la sfida della parità può diventare occasione di cambiamento per tutto il sistema scolastico, a cui come associazione guardiamo con interesse». E di «corresponsabilità tra statali e paritarie» parla la presidente Colombo, perché «entrambi i segmenti mancano di caratteristiche che sono presenti nell’altro: la statale manca di una vera autonomia, della possibilità di reclutare i propri docenti e anche di sottoporsi a una valutazione; la paritaria manca dei finanziamenti adeguati». C’è dunque «la necessità di uno Stato lungimirante – aggiunge don Macrì della Fidae – capace di valorizzare tutte le risorse che la società è in grado di offrire, ovviamente all’interno di regole, valori e norme». Non solo. «Oggi nelle nostre scuole – spiega Morgano – lavorano docenti che sono padri e madri di famiglia, sono professionisti e lavoratori che, però, sono mantenuti in una sorta di precarietà sul proprio posto di lavoro. Un finanziamento chiaro, adeguato e stabile, sarebbe una sicurezza non solo per i bilanci delle scuole, ma anche per il posto di lavoro di queste decine di migliaia di dipendenti». Un aspetto quest’ultimo spesso volutamente ignorato da chi si scaglia contro la cosiddetta «scuola privata»: in cattedra nelle paritarie ci sono migliaia di padri e madri di famiglia, professionisti e lavoratori allo stesso livello dei loro colleghi degli istituti statali. Lavoratori con un contratto di lavoro nazionale, che per le scuole paritarie rappresentano la voce più consistente nelle spese di gestione.Spese e costi che anche in quest’ultimo decennio hanno mietuto «vittime» con la chiusura di decine di istituti. «È un dato inquietante – commenta Silvano della Foe – vedere come a fronte di un incremento di iscritti si assista alla chiusura di istituti. Come Foe siamo spesso chiamati a subentrare nella gestione di queste scuole in difficoltà e cerchiamo di proseguirne l’attività. Ma molte altre chiudono ed è un patrimonio educativo che si perde e rende tutto il sistema nazionale più povero». Del resto non viene valutata nello stesso modo la chiusura di una scuola statale in un piccolo paese? Ma per le decine di paritarie che ogni anno chiudono i battenti non resta che il silenzio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: