martedì 11 ottobre 2022
Sono aumentati i Paesi che l’hanno cancellata, ma la pratica resta attiva in tanti altri
Una manifestazione di protesta contro la pena di morte

Una manifestazione di protesta contro la pena di morte - Ansa

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Basterebbero meno di duecento caratteri per far sparire un pezzo di preistoria del mondo come la pena capitale. Come quelli del tweet di papa Francesco in occasione della «Giornata mondiale contro la pena di morte» promossa per iniziativa della Coalizione mondiale contro la pena di morte nata a Sant’Egidio nel 2002 a Roma, per iniziativa di un pugno di associazioni umanitarie, e che oggi raccoglie più di 150 organizzazioni nel mondo.

«Chiedo a tutte le persone di buona volontà di mobilitarsi per ottenere l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo – scrive il Papa –. La società può reprimere il crimine senza privare definitivamente chi lo ha commesso della possibilità di redimersi». Semplice. Occorre ascoltarlo alla lettera, specialmente in un tempo di guerra e di rischio serio di follia nucleare. Perché aiuta a ritrovare quello che conta nella vita, la vita stessa, che è l’unica premessa indispensabile anche per riparare ai torti subiti o fatti, all’errore, alla guerra stessa che si alimenta da sé con orrori e rappresaglie contrapposti a orrori, sempre alla ricerca difficile del diritto di pro genitura. Come per l’attentato al ponte di Crimea, e per la rappresaglia successiva dei missili su Kiev e le città ucraine.
Il mondo sta cambiando radicalmente sulla pena capitale, nell’ultimo quarto di secolo. Una svolta della storia che dai tempi del Codice di Hammurabi ha ritenuto che squartare, strappare, tagliare, fare a pezzi, avvelenare, soffocare la vita umana fosse normale per portare giustizia. Solo 16 gli Stati abolizionisti nel 1975, oggi sono 144 che l’hanno abolita per legge o in pratica, mentre 55 la mantengono nei codici.

Il 2020 è stato, a memoria, l’anno con meno esecuzioni, anche per la pandemia, e anche se il 2021 ha visto crescere del 20% (da 483 a 579), le esecuzioni conosciute, sono avvenute in 18 paesi, il numero più basso, geograficamente, di sempre.

Un’accelerazione, per una giustizia che sa rendere più sicuri tutti rispettando la vita, impressionante: nel 2017 Mongolia, Guinea e Guatemala, nel 2018 Burkina Faso, Colorado e Sierra Leone nel 2020, Ciad e stato della Virginia nel 2021.

Gambia, Malaysia, California, Pennsylvania e Oregon con una moratoria di Stato. E Kazakhstan, Angola e Armenia, Guinea Equatoriale e Papua Nuova Guinea nel 2022 abolizionisti, con la Malaysia che ha dichiarato una moratoria universale mentre ha avviato il percorso per l’abolizione. In Africa in venti anni, da 11 gli abolizionisti sono più che raddoppiati, e è di poche settimane fa l’abolizione nella Repubblica Centrafricana.

Un terzo dei 32mila condannati a morte del mondo sta in Asia. I dati sulla Cina, Corea del Nord e Vietnam, sono carenti, ma gli osservatori concordano sul fatto che avere ridotto il potere delle corti periferiche su reati capitali ha ridotto le esecuzioni in Cina del 30%.

La pena di morte, si sa, ama la vita, una sola, la propria. E cerca nuove strade. Come in Alabama dove stanno provando a legalizzare un nuovo modo per uccidere, fare respirare solo il nitrogeno, eliminando l’ossigeno; in Terra Santa, dove Hamas ha portato a termine 5 esecuzioni per l’accusa di collaborazionismo con Israele; o in Giappone, con tre recenti esecuzioni svoltesi nel consueto silenzio, in un paese dove ci sono un condannato a morte ogni milione di abitanti e due condannati nel braccio della morte da più di 40 anni: senza nessun rapporto reale con la sicurezza delle persone.

Le religioni e le persone di buona volontà posso partire dal tweet di papa Francesco e fare questo regalo al mondo.

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