martedì 26 ottobre 2010
L’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo: il Vangelo è incompatibile con Cosa Nostra. La criminalità è un gravissimo fenomeno che offende Dio e gli uomini. A margine della assemblea episcopale siciliana, il presule ricorda che sono inaccettabili i collegamenti verbali che spesso i malavitosi fanno con la religione.
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«I comportamenti mafiosi sono antievangelici ed è assolutamente inutile, oltre che offensivo, sfoderare Bibbia e santini, invocazioni varie, se poi si sceglie il male nella quotidianità della vita». All’indomani dell’operazione antimafia che ha interrotto la latitanza  del numero due di Cosa nostra, i vescovi siciliani ribadiscono la posizione della Chiesa di fronte la mafia. Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, alla sua prima uscita pubblica dopo la nomina a cardinale, a margine dell’avvio della sessione autunnale della Conferenza episcopale siciliana, torna anche a «quanto visto e sentito nel corso dell’ultima operazione delle forze dell’ordine che ha permesso, ad Agrigento, l’arresto di Gerlandino Messina». Le invocazioni pubbliche a Dio della madre e dei familiari, per esempio. Sulle dichiarazioni della madre del boss, la Chiesa siciliana parla di «un gesto giustificabile da parte di una madre, ma non possiamo non dire che i frequenti collegamenti verbali e non solo verbali, che uniscono mafiosi e religione, sono ben più che fuoriposto». E Romeo aggiunge: «Ce lo insegna Cristo e ce lo dice il Vangelo e ce lo hanno ribadito prima Giovanni Paolo II nel suo anatema dalla Valle dei Templi, proprio ad Agrigento, e qualche giorno fa Benedetto XVI da Palermo, quando ha evidenziato come “la mafia è una strada di morte” “incompatibile con il Vangelo” - conclude il vescovo -, ed è per questo che non è possibile alcuna conciliazione tra questo grave fenomeno, che offende Dio e gli uomini, con il cristianesimo».Sull’argomento interviene anche monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, che al Sir dice: «Non possiamo accettare la mafia, quella tradizionale, quella violenta, quella dei boss e dei criminali, ma come possiamo restare impassibili o peggio lasciarci coinvolgere dall’altrettanto terribile cultura mafiosa?». Il presule esprime «seria preoccupazione per un modo di fare sempre più diffuso che ricalca i passi e ripete gli atteggiamenti dei malavitosi e dei capimafia». Ci si riferisce, spiega il presule, «al continuare a chiedere il favore al politico di turno o a chiunque rivesta un ruolo di potere», «alla voglia di predominare continua che emerge quotidianamente, al supermercato, in strada, negli uffici» e «certe volte anche nelle chiese e nelle sacrestie». Un modo di «fare mafia e di essere mafia», che «interroga il nostro essere cristiani», perché «il Vangelo o lo si vive o non lo si vive, non ci sono vie di mezzo». Per la Chiesa di Sicilia, continua Montenegro «lottare contro la mafia non è, dunque, solo un lottare contro i boss e le cosche, o condannare la mafia dei cosiddetti colletti bianchi, ma imparare a riconoscere la moderna e silenziosa mafia di tutti i giorni e soprattutto combatterla».
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