lunedì 25 marzo 2013
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​«Se da paziente mi chiedo cosa sarà di questo Opg e delle nostre sorti, è perché qualcosa di buono c’è, solo che va migliorato». Il punto di vista di Federica non si ferma qui, ma si libera in un suggerimento: «Dovrebbe essere aperto verso l’esterno e non chiuso al suo interno come adesso». Lei guarda avanti, forse anche perché è ospite di quella che è considerata una struttura modello, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Attrezzato con 193 posti (ora però ci sono un centinaio di pazienti in più), immerso nel verde, non ha guardie carcerarie, ma solo medici, infermieri e operatori sociosanitari, oltre a psicologi, educatori e assistenti sociali. In tutto 170 persone.«Appena conosciuto questo ospedale da dentro, è iniziata la fase professionale più gratificante della mia vita - racconta Anita Ledinski, che da otto anni lavora a Castiglione -. Questo non è solo un istituto penitenziario per persone affette da malattie psichiatriche che hanno commesso un reato, è una struttura che fornisce assistenza, terapie e un iter di riabilitazione che passa anche attraverso l’amore e la fiducia che ricevono, grazie agli operatori e a quanti con professionalità le seguono nel loro cammino, affrontando anche dei rischi».Per la giustizia i 280 internati, tra cui un’ottantina di donne, sono incapaci di intendere e volere. Sono invece solo pazienti da assistere per gli operatori che, spiega lo psichiatra Antonino Calogero, direttore sanitario dell’Opg fino all’anno scorso, «devono funzionare da supporto "materno"», essere «in grado di aiutarli a ripristinare le parti bloccate da disperazione e annichilimento. Aiutano le persone che arrivano qui confuse e disorientate, nella cura del sé e in tutti gli aspetti più umani della vita quotidiana».Una struttura modello non solo per il presente, ma anche per il futuro, visto che esiste già un’idea di come dovrà cambiare in vista della chiusura, slittata di un anno. «Si tratta di archiviare l’attuale assetto organizzativo basato su grandi reparti e di andare verso piccole strutture», spiega il direttore sanitario Ettore Straticò, preservando però «la professionalità del personale, che ha sempre lavorato ottimamente». L’ipotesi più realistica, chiosa il primario del reparto femminile Arcobaleno, Ettore Vernizzi, «consiste nel frazionare l’attuale Opg in sei comunità da non più di 20 posti letto ciascuna, di cui almeno una femminile. Credo che il "modello Castiglione" sia allo studio da parte di molte Regioni e Provincie autonome, a giudicare dalla numerose visite di esperti che stiamo ricevendo».L’obiettivo, come ovvio, è di evitare che l’esperienza e la professionalità accumulate vadano disperse. Ma soprattutto la filosofia che guida gli operatori: coniugare nel tempo l’applicazione delle misure di sicurezza con la cura e il recupero del malato di mente, autore di reato, secondo un modello puramente sanitario. Da qui l’avvio di contatti con la Regione, sottolinea Straticò, per individuare «una serie di percorsi» che hanno permesso già di localizzare «le sedi dove spostare i pazienti». E consentire loro di proseguire il percorso di recupero personalizzato che punta al reinserimento lavorativo, abitativo e sociale. E per favorirlo gli internati fanno attività sportive (in palestra e piscina) e culturali frequentando l’atelier di pittura, la biblioteca e il cineforum o incontrando personaggi famosi. E il lunedì arriva anche il parrucchiere...
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