mercoledì 23 marzo 2022
Il viaggio in pullman con la mamma e la figlia di 7 anni. La paura per il marito rimasto a combattere a Kiev e per un parto durante il tragitto. Ma il piccolo nasce al Pertini, il primo nella Capitale
Olena, fuga al nono mese: «Ho salvato Jaroslav, l'Italia ora è casa mia»
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Quando il piccolo Jaroslav ha cominciato a scalciare più del solito nella sua pancia, Olena era sul pullman, alle porte di Budapest. Neanche a metà del viaggio verso Roma, dove pochi giorni fa ha scelto di rifugiarsi per scappare dalle bombe russe e dove abita Vira, la cugina del marito, rimasto in Ucraina per aiutare la resistenza. Accanto a lei la mamma e la piccola Sofia, l’altra figlia di appena sette anni. Nella testa tanti pensieri: la gravidanza alla 40esima settimana, il timore di dover affrontare un parto durante il tragitto, ma anche lo stupore alla vista della capitale ungherese di notte, le luci accese alle finestre e il silenzio. Niente spari, niente grida. Una realtà così diversa da Vasylkiv, la cittadina a 30 chilometri da Kiev da dove è scappata.

Alla fine il bimbo, il primo nato nella Capitale da un’ucraina in fuga, ha visto la luce all’ospedale Sandro Pertini. Ora sta bene, la mamma lo culla tenendolo tra le braccia mentre racconta all’Ansa la sua storia. «Siamo fuggiti lasciando lì mio marito, mio padre e molti amici. Il viaggio non è stato facile – racconta Olena, che in Ucraina lavorava in una scuola. Jaroslav dorme e mangia senza problemi, sta benissimo. Mio marito mi ha ringraziato per aver partorito un ma- schietto. Al telefono era molto emozionato, ma allo stesso tempo era estremamente dispiaciuto per non aver potuto vivere questi momenti assieme a me. Mi ha detto: io ti aspetto a casa, perché sono sicuro che andrà tutto bene, sia a voi sia a noi, e che ci rivedremo molto presto. Era tranquillo». A preoccupare Olena adesso è Sofia: le esplosioni le sono rimaste in testa e la notte affollano i suoi incubi, mentre il papà le manca tantissimo: «Ho cercato di spiegarle che siamo dovuti andare via per salvare la sua vita e quella di suo fratello che non era ancora nato, ma lei non riesce a capire perché il padre non è potuto venire con noi».

Vira intanto si dà da fare come può per aiutare la giovane mamma e la sua famiglia ad ambientarsi. Lei abita in Italia da molto tempo, è infermiera specializzata nell’assistenza ai piccoli malati di Sla e suo marito, un italiano, è un medico pediatra. «Ho deciso di aiutarli non solo perché sono miei parenti – spiega mentre siede di fronte a Olena nel salotto di casa sua –. Ma anche perché aiutare il mio popolo in un momento come questo, per me è un dovere morale. Sono qui in Italia e non posso certo andare al fronte a combattere, anche se lo farei. Perciò provo a fare il possibile da qui, non solo ospitando chi fugge: cerco di raccogliere aiuti umanitari da inviare in Ucraina, oltre a farmaci e altri beni di prima necessità. Per quanto riguarda Olena, posso dire che appena ho scritto un post su un gruppo di quartiere su Facebook, dicendo che stavo cercando vestiti e altre piccole cose per i miei nipotini, è partita subito una catena umanitaria, sono stata inondata di messaggi, di offerte di aiuto e di generi di prima necessità ». Nonostante la preoccupazione, Olena inizia a sentirsi al sicuro: «Ringrazio tutti, non potevo credere all’accoglienza che ho ricevuto qui in Italia, Roma ora è la mia seconda casa».

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