Si impegnano, stanno più attenti a non sprecare, però troppo cibo finisce ancora nella spazzatura. A voler semplificare, ogni anno una famiglia butta in media alimenti pari all’ingombro di un cassonetto colmo, ovvero circa 145 kg. Questo “tesoretto” corrisponde al 75% dello spreco totale dell’Italia e vale 360 euro, portando ciò che si butta dentro casa a quota 13 miliardi sui 16 totali per l’intero Paese (1% Pil).
Di contro, è il quadro che esce dagli ultimi dati dell’osservatorio nazionale Waste watcher di Last minute market/Swg presentati ieri a Roma, il 20% degli italiani è più virtuoso nei consumi e nel riciclo e 5 italiani su 10 (il 59%) sanno che esiste una legge antispreco entrata in vigore ad agosto. Peccato che il 90% non conosca i contenuti del testo e non sappia che la norma prevede facilitazioni per la donazione di “avanzi”.
Quel che emerge, a pochi giorni alla quarta Giornata nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari promossa dal ministero dell’Ambiente che si celebra il 5 febbraio, è un Paese ancora spaccato in due: il 57% ha comportamenti virtuosi e il 43% invece molto meno. Del primo gruppo solo un quinto spreca però la metà della media nazionale, il 28% sta attento per principio e il 7% per motivi economici. Mentre nell’area sprechi il 27% fa parte degli incoerenti (predicano bene e razzolano male), il 12% degli spreconi e il 4% degli incuranti. Prevenzione è la parola chiave, esordisce il fondatore di Last minute market Andrea Segrè, e «fa rima con educazione perché lo spreco migliore è quello che non si fa». La legge è un passo in avanti, ma per gli sprechi domestici serve soprattutto cultura. «La Family Bag piace a 4 italiani su 5 – ricorda il sottosegretario al ministero dell’Ambiente Barbara Degani – le campagne di sensibilizzazione stanno dando i loro frutti. Ora è bene non fermarsi». Il 45%, infatti vive lo spreco come un problema, l’educazione a non sprecare cresce dal 62% al 78% e la Family Bag inserita nella legge (la possibilità di portare a casa il cibo avanzato dal ristorante) l’80% degli italiani la reputa uno strumento valido anche se uno su due teme che non sarà supportato dai negozianti.
Fornai, supermercati e ristoratori sono invece i protagonisti del progetto di Acli Roma Il pane a chi serve 2.0, partito da due anni, i cui risultati per il 2016 sono stati presentati proprio in vista della giornata nazionale 2017. In dodici mesi nella Capitale sono stati raccolti quasi 48mila kg di pane invenduti per un valore economico di 135mila euro circa, raggiungendo oltre 2mila indigenti ogni giorno e accompagnando oltre 413mila pasti con un incremento del 25% rispetto al 2015. In Italia «viviamo il paradosso dell’abbondanza », ricorda la presidente Acli Lidia Borzì durante il pomeriggio di approfondimento sullo spreco, sottolineando il «lavoro in rete» in un «percorso di corresponsabilità », che sta diventando «un moltiplicatore di solidarietà». Oltre a sfamare gli indigenti però, aggiunge il direttore Caritas Roma monsignor Enrico Feroci, «dobbiamo aprire gli occhi, i poveri hanno bisogno di sentirsi persona, di sentirsi ascoltati. A loro serve cibo certo, ma soprattutto relazione». Tuttavia è indiscutibile, conclude il viceministro delle Politiche agricole Andrea Olivero, che davanti all’aumento della povertà «lo spreco è ancora più intollerabile. Questa è una di quelle iniziative che danno forza e significato al termine cittadinanza attiva».