venerdì 8 febbraio 2013
«Serve un’agenzia di controllo nazionale». Stridono le differenze nei livelli di assistenza tra le diverse zone del Paese. Chi si rompe un femore a Bolzano viene operato entro 48 ore nell’83% dei casi, in Basilicata la percentuale scende al 16.
COMMENTA E CONDIVIDI
​Tre quarti degli ospedali italiani a rischio crollo in caso di sisma. Assistenza sanitaria ancora disomogenea tra Nord e Sud. Terapia del dolore poco diffusa nel Mezzogiorno. Elettroschock ancora praticato in 91 strutture spesso come prima terapia. E consulenze esterne che fanno spendere circa 800 milioni di euro, quasi quanto sborsano gli italiani in ticket. Sono molti i nodi al pettine della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, il cui presidente, il senatore Ignazio Marino del Pd, ha presentato ieri la relazione finale.La commissione ha avviato il suo lavoro nel 2008 con 57 sopralluoghi, per lo più a sorpresa, in strutture ospedaliere. Il lavoro della commissione, rivendica Marino, ha già portato alcuni risultati concreti: la legge sugli ospedali psichiatrici giudiziari, i cosiddetti Opg, che fissa una data limite dopo la quale non sarà più possibile ricoverare nessuno, e l’abolizione - dopo il caso di Stefano Cucchi - del parere del magistrato di sorveglianza per i contatti dei familiari con i detenuti ricoverati . Tirate le fila del lungo lavoro, Marino è convinto che il Paese dovrà dotarsi di una «agenzia nazionale» di verifica e controllo sulla sanità italiana, «slegata dalla politica».Edifici vecchi e a rischio crollo. Diffusa la vetustà degli ospedali. Il 75%, 200 strutture su tutto il territorio, crollerebbe in caso di magnitudo superiore a 6,2-6,3. Il 60% avrebbe danni per terremoti di intensità 6 sulla scala Richter. Solo l’8% è stato costruito dopo il 1983, anno del varo delle norme antisismiche. Il 16% degli edifici risale a prima del 1934, il 31% tra il ’35 e il ’61, il 28% tra il ’62 e il ’73, il 17% tra il ’74 e l’83.Cure efficaci? Dipende da dove. Tra i 34 indicatori scelti per valutare la qualità dell’assistenza, due sono particolarmente evidenti. Il primo è il tempo che intercorre tra la frattura del femore e l’intervento chirurgico. Secondo l’Oms se si superano le 48 ore, diminuiscono le possibilità di recupero, con rischi di disabilità. E costi socio-sanitari. Così gli ospedali più veloci sono nella provincia di Bolzano (l’83% è trattata in tempo), i più lenti in Basilicata (solo il 16%). Indicativo anche il numero di parti cesarei: si va da un minimo del 23% in Friuli-Venezia Giulia e il 62% della Campania. «Ma a Castellammare di Stabia – sottolinea Marino – sono al 14%, come ad Amsterdam, da quando è cambiato il primario».I ticket per pagare le consulenze? Per le consulenze esterne nel 2008 sono stati spesi 790 milioni «spesso per servizi che potevano essere forniti da personale già assunto». E i ticket «sono stati introdotti per rastrellare 850 milioni».Terapia dolore, non a Sud.  La commissione ha inviato 500 uomini dei Nas in 244 ospedali: nello stesso arco temporale il 68% dei farmaci antidolore sono stai usati al Nord, il 26% al Centro, solo il 6% al Sud.Anziani, famiglie spremute Marino definisce irregolare la pratica diffusa nei comuni di non farsi carico del 50% dei costi (l’altro è a carico del Ssn): «I parenti all’atto del ricovero sono indotti a firmare una sorta di fideiussione omnibus», a volte sotto «minaccia di dimissioni». Come l’89enne malato di Alzheimer «a un tratto considerato guarito».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: