mercoledì 3 giugno 2020
Così la nostra Chiesa è accanto a chi è stato duramente provato. «I più vecchi oggi sono in difficoltà perché non possono uscire e sono impauriti o non sono autosufficienti»
Il vescovo Tremolada

Il vescovo Tremolada - .

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Abbiamo vissuto giornate molto pesanti e dolorose, abbiamo pagato un prezzo altissimo con quasi 13mila casi positivi in diocesi e quasi 2.500 decessi a causa del virus, tra i quali 13 sacerdoti e un alto numero di religiose. Alcune parrocchie della Bassa bresciana e la città sono state duramente colpite». Il bilancio della pandemia del vescovo di Brescia Pierantonio Tremolada è preciso, di chi l’ha vissuta in prima linea. Il presule ha passato la Settimana Santa e le giornate dopo Pasqua con il vicario generale monsignor Gaetano Fontana a visitare i malati e gli operatori in tutti gli ospedali sottoposti in quel momento a fortissima pressione.

Qual è stato l’impegno della chiesa bresciana durante l’emergenza sanitaria?
Siamo stati presenti negli ospedali e abbiamo aumentato il numero dei cappellani. Devo ringraziare i sacerdoti più giovani che si sono messi a disposizione per affiancarli nei tre ospedali più grandi della città. Ho chiesto personalmente agli operatori sanitari credenti di svolgere il “ministero della consolazione” nelle giornate in cui nessuno poteva avvicinarsi ai malati chiedendo loro di recitare una preghiera con loro o di fare un segno di croce se gradito. Abbiamo chiesto ai preti di benedire ogni salma, e ora sto celebrando le funzioni nei cimiteri cittadini rimasti a lungo chiusi quando arrivano le urne cinerarie da tumulare.

Quali sono state le categorie più colpite dal punto di vista sociale nella diocesi?
I più deboli erano e sono gli anziani. Prima sono stati i più colpiti, oggi sono quelli più in difficoltà perché non possono uscire e sono impauriti o non sono autosufficienti. Poi le famiglie dove il papà o la mamma hanno perso il lavoro e chi aveva piccole attività o negozi. E i senza dimora, cui abbiamo cercato di garantire un pasto quotidiano e un letto nei nostri dormitori.

Cosa serve oggi alla sua comunità per ripartire?
Mi conforta anzitutto vedere il desiderio di non lasciare indietro nessuno. Ci stiamo interrogando su questo. Le stesse parrocchie si troveranno in difficoltà dopo tre mesi di chiusura e andranno aiutate con un fondo che costituiremo utilizzando il contributo della Cei, alla quale va il mio sincero ringraziamento. A loro volta le parrocchie dovranno aiutare soprattutto le famiglie, per le quali abbiamo istituito il fondo di solidarietà diocesano.

I nuovi abbonati di Avvenire contribuiranno a sostenere il progetto per gli anziani...
Vorrei esprimere il mio apprezzamento per questa iniziativa molto opportuna. Gli anziani ne avranno sicuramente bisogno, disporre di risorse da destinare verso i più fragili è molto utile.

Come sta cambiando la comunità cristiana di Brescia dopo questa pandemia?
Dobbiamo riflettere attentamente su quanto è accaduto. Mi sono permesso di raccomandare ai sacerdoti e alle nostre comunità una riflessione spirituale su questo periodo. Non dobbiamo avere fretta di archiviarla come una brutta pagina da dimenticare, dobbiamo capire cosa il Signore ci ha detto attraverso un’esperienza dolorosa, ma non disperata e neppure assurda. Abbiamo pregato molto insieme anche utilizzando i social media, c’è stata una solidarietà spirituale intesa come comunità parrocchiale e diocesana. Il senso del tempo è forse un’altra lezione da cogliere. La Chiesa è chiamata a non assecondare troppo i ritmi di una società che rischia di perdere profondità. Questo virus ci ha obbligati a rallentare quando eravamo abituati a ritmi che ci impedivano di maturare il senso della realtà e la buona abitudine a riflettere sulle cose.

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