venerdì 20 dicembre 2019
A finire in manette anche l’assessore regionale Roberto Rosso, uno dei leader di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni: «Mi viene il voltastomaco»
Conferenza stampa sull'operazione che ha portato ai sette arresti per la compravendita di voti tra politici ed esponenti della 'ndrangheta (Fotogramma)

Conferenza stampa sull'operazione che ha portato ai sette arresti per la compravendita di voti tra politici ed esponenti della 'ndrangheta (Fotogramma)

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Terremoto ieri all’alba nella politica piemontese, e non solo. La Guardia di Finanza ha arrestato l’assessore regionale Roberto Rosso, uno dei leader di Fratelli d’Italia. E con una accusa pesantissima: aver chiesto voti alla ’ndrangheta nelle scorse elezioni regionali.

L’operazione ha coinvolto altre 7 persone, tutte finite in carcere, e fa parte di una più vasta azione nazionale.

Tre i reati ipotizzati: scambio elettorale politico-mafioso, associazione per delinquere di stampo mafioso e reati fiscali per 16 milioni di euro. Al centro dell’indagine, comunque, pare sia proprio l’ormai ex assessore Rosso che si sarebbe rivolto ad affiliati alle cosche calabresi per conquistarsi un posto in Regione.

Accuse che poggiano su una fitta serie di intercettazioni e di filmati che pare non lascino spazi a molti dubbi. Fra le conversazioni registrate nell’ambito dell’indagine "Fenice", frasi sconcertanti – come «Eh... 5 e bon, tagliamo la testa al toro», «Cinque, e tre "caramelle" le han già prese. E bon» – colte tra due intermediari di presunti boss della ’ndrangheta e Rosso stesso, che avrebbe versato 7.900 euro a fronte di una promessa di 15mila.

L’assessore avrebbe poi incontrato Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria, che aveva il compito di riorganizzare un gruppo a Carmagnola. I due mediatori sarebbero stati l’imprenditrice Enza Colavito e Carlo De Bellis, che hanno incontrato Rosso in piazza San Carlo a Torino. Trattative serie; e Rosso sapeva chi aveva davanti. «È sceso a patti con i mafiosi. E l’accordo ha avuto successo», ha spiegato Francesco Saluzzo, procuratore generale del Piemonte.

L’arresto dell’esponente politico regionale ha avuto l’effetto di un fulmine a ciel sereno nell’ambito della politica e delle istituzioni locali.

«Allibito» si è detto il governatore della Regione, Alberto Cirio, che ha immediatamente accettato le dimissioni di Rosso e ha aggiunto: «Un’accusa di questo tipo è la peggiore per chi vuole rappresentare le istituzioni ed è totalmente incompatibile con il nostro modo di vedere la vita e l’impegno politico». Lo stesso poi ha sottolineato che «la mafia è il male assoluto» e che, se lo avesse saputo, con Rosso non sarebbe stato possibile nemmeno prendere un caffè. La Regione valuterà anche se costituirsi parte civile in un futuro processo.

Chiara Appendino, sindaca di Torino, ha precisato che occorre «tenere sempre alta la guardia sul persistente pericolo di infiltrazioni mafiose e sulla relativa possibilità di condizionare le attività della pubblica amministrazione».

Ma è di Giorgia Meloni, segretario di Fratelli d’Italia, la battuta più pesante: «Rosso è stato arrestato con l’accusa più infamante di tutte: voto di scambio politico-mafioso. Mi viene il voltastomaco. Fin quando questa vicenda non sarà chiarita, è da considerarsi ufficialmente fuori da FdI».

Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha precisato prudentemente che, se occorre «attendere che la magistratura faccia il suo lavoro», certamente «la ’ndrangheta nel nostro territorio è una presenza non silenziosa ma attiva. Non mi stupirei se la politica cadesse in questa trappola, come già accaduto».

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