mercoledì 27 settembre 2023
Da presidente della Camera nel 1993 al settimanale Il Sabato: «Andando al voto ora si rischia il vuoto politico e la precarietà istituzionale». E sui partiti: senza di essi la democrazia non ha futuro
L'intervista a Napolitano del 1993

L'intervista a Napolitano del 1993 - .

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Giorgio Napolitano
nel pieno della crisi dei partiti e della cosiddetta Prima Repubblica si trovò alla presidenza della Camera dei deputati - che ieri gli ha tributato l’estremo saluto – dalla primavera del 1992 a quella del 1994, la legislatura breve di Tangentopoli. Questa intervista di fine giugno 1993 che mi concesse per il settimanale “Il Sabato” scovata dall’allora direttore Alessandro Banfi, ad andarla a rileggere oggi, 30 anni dopo, esprime concetti di straordinaria attualità. Straordinariamente premonitore, era, soprattutto quell’inascoltato appello a una
«fase ricostruttiva» alla quale era doveroso, irrinunciabile anzi, porre mano, da subito, «dopo la rottura che c’è stata, profonda ma salutare, nel corso di quest’anno». Una fase in cui erano emersi «gravissimi fenomeni di degenerazione del sistema democratico», ammetteva. Alludeva naturalmente agli scossoni portati dall’inchiesta milanese. Ma difendeva come «incontestabile» la piena operatività del Parlamento, che era ancora «costituzionalmente legittimato dal voto dell’aprile 1992. Non mi nascondo affatto che questo Parlamento è scosso nella sua rappresentatività ed autorevolezza morale - aggiunse -. Ma a è questione diversa, questa, da quella della legittimità», mi disse in questa intervista in cui va osservata anche la cura delle virgole, per l’attenzione che vi pose, e che è ancora viva nel mio ricordo, insieme al suo storico portavoce Pasquale Cascella, che poi vorrà con lui in quel ruolo anche al Quirinale.

Si parlava al tempo solo di legge elettorale, di come cioè affrettare i tempi per tornare al voto. Ma lui ammoniva che una legge elettorale non poteva bastare, lamentò la mancata attenzione a una legge sugli appalti appena approvata in grado di rompere, nei suoi auspici «con gli istituti più perversi del passato in materia di lavori pubblici», e denunciò una vera e proprio «cortina di silenzio» sulla attività del Parlamento che lui vedeva come funzionale alla sua delegittimazione.

La sua proposta, ragionevolissima, era allora quella di far uso utilmente dei quattro mesi necessari alla messa a punto dei nuovi collegi per il Mattarellum (la legge elettorale appena approvata su proposta dell’attuale capo dello Stato, a prevalenza maggioritaria, ma che prevedeva un robusto recupero proporzionale a beneficio del ruolo dei partiti nelle coalizioni) per definire anche le necessarie riforme istituzionali, «secondo le proposte che sta utilmente mettendo a punto la Commissione». E qui emerge già la sua ventennale «ossessione» (nella definizione di Anna Finocchiaro) per le riforme, che lo indurrà ad accettare, 20 anni dopo, per la prima volta, un secondo mandato al Colle, proprio finalizzato a favorire un percorso riformatore che poi invece si arenò a seguito della bocciatura referendaria della proposta renziana. «Molteplici e seri problemi sul tappeto non possono essere affrontati nel vuoto politico e nella precarietà istituzionale», disse, a bocciare l’idea che avanzava di andare al voto al più presto, senza cambiare le regole, come poi avvenne.

Una occasione mancata lunga 30 anni, si potrebbe oggi dire, dal momento che quella finestra di opportunità non utilizzata sarà sola la prima delle tante, con il piano B sempre costituito dall’illusione che possa bastare una leggere elettorale, che invece,
se le istituzioni non funzionano, può al massimo riuscire a mettere insieme i cocci.

«Con quella intervista – ragiona l’allora direttore del settimanale Il Sabato, Banfi –, a rileggerla oggi, 30 anni dopo, è chiaro che lui intendeva da presidente della Camera. difendere la democrazia dei partiti, come il cuore della nostra repubblica parlamentare». Partiti che, sosteneva Napolitano, in quella intervista, «potranno attraversare una fase di riforma, di rinnovamento ma non si può immaginare un futuro democratico senza i partiti, magari diversi da quelli attuali», auspicava.

Colpisce infine la immediata disponibilità con la quale accettò quella conversazione, indice anch'essa, forse, dell'attenzione alle sensibilità diverse dalla sua di cui tanto si è parlato, in particolare del mondo cattolico, che lui considerava una grande risorsa per contribuire, in un clima condiviso e pluralistico, alla costruzione del bene comune.




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