sabato 23 settembre 2023
«Io testimone diretta della sua corrispondenza con Ratzinger. Non saprei dire cosa lo muovesse nell’intimo. Per lui il fattore religioso non era un elemento da espungere dalla sfera pubblica
Cartabia: «Napolitano un alfiere del pluralismo»
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Marta Cartabia, prima presidente donna della Corte Costituzionale fu nominata giudice costituzionale da Giorgio Napolitano, nel settembre del 2011. «Scelse una donna, e scelse me, cattolica, in nome del pluralismo in cui credeva, nelle istituzioni e soprattutto nella Corte Costituzionale», dice oggi l’ex presidente della Consulta ed ex Guardasigilli.
Come le motivò la scelta?
Ricordo molto bene quel dialogo del 31 agosto 2011 al Quirinale. Per me fu una grande sorpresa. Aveva sul tavolo alcuni miei scritti, visibilmente letti e chiosati. Fu un dialogo ampio, in cui mi annunciò che intendeva nominarmi giudice costituzionale. Anzitutto mi disse che aveva apprezzato la qualità dei miei studi di diritto costituzionale, soprattutto quelli in cui emergeva una chiara sensibilità alla dimensione europea. Poi sottolineò che intendeva nominare una donna, ritenendo inaccettabile che la Corte fosse composta da soli uomini: all’epoca gli altri 14 giudici erano tutti uomini. Si mostrò ben consapevole che della mia formazione di matrice cattolica, ben diversa dalla sua, ma riteneva essenziale che alla Corte si esprimessero tutte le anime culturali del Paese. La sua visione pluralistica della Corte costituzionale mi colpì moltissimo e accompagnò sempre il mio lavoro. Tuttora reputo che il pluralismo sia qualità essenziale per il buon funzionamento di questa istituzione.
La giudice Maria Rita Saulle era scomparsa a luglio. In agosto Napolitano aveva partecipato al Meeting. È vero che vi conosceste in quell’occasione?
Sì. Il presidente a Rimini visitò una mostra sui 150 anni dell’Unità d’Italia a cui anche io avevo contribuito come costituzionalista, e così ci stringemmo la mano per la prima volta. Non avevo mai avuto occasione di incontrarlo prima.
Memorabile l’appello a Rimini, alla riconciliazione nazionale. Le tre visite ad Assisi. Da che cosa nasceva questa stima per gli interlocutori cattolici?
Non saprei dire che cosa lo muovesse nell’intimo. Certo per lui il fattore religioso non era un elemento da espungere dalla sfera pubblica, ma da valorizzare. Più volte ha espresso la convinzione che «debba laicamente riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso» , come disse nel discorso di insediamento del 2006. La sua era una laicità positiva, che riconosceva l’importanza anche sociale e civile delle espressioni religiose.
Napolitano curò poi la prefazione del suo libro scritto con Andrea Simoncini La legge di Salomone. Ragione e diritto nei discorsi di Benedetto XVI.
Il libro raccoglie i commenti di studiosi internazionali di varia estrazione ai discorsi “politici” di Benedetto XVI: quello famoso al Bundestag, ma anche a Westminister, al Collège des Bernardins, alla Sapienza (scritto ma mai pronunciato). Diretti a un uditorio non confessionale, in cui il Pontefice si rivolgeva soprattutto a chi aveva responsabilità politiche e istituzionali. Perciò chiesi al presidente Napolitano una prefazione. Era noto il suo rapporto con Benedetto XVI, che andava oltre il consueto scambio istituzionale tra il capo dello Stato italiano e quello della Chiesa cattolica. Un rapporto «singolare per l’intensità, per la sintonia e la confidenza che l’hanno caratterizzato fin dall’inizio, in qualche modo, forse, sorprendendo anche noi stessi», scrisse.
Che ricordo ha dei rapporti di reciproca stima che mantenne con Benedetto XVI?
Nei colloqui che ho avuto con lui non mancava mai un accenno, un riferimento, un ricordo per Benedetto XVI. Ho il privilegio di essere depositaria della memoria della loro corrispondenza (o almeno di una parte di essa), da cui si percepisce la profondità della relazione che li ha uniti. Sicuramente c’erano affinità personali: «analoghe attitudini al dialogo pacato, libero e rispettoso, e insieme affinità generazionali». Ma anche qualcosa di più: l’aver attraversato il Novecento, con il suo «grandioso e terribile intreccio di luci e ombre, che i nostri due paesi di origine hanno più di tutti gli altri vissuto in termini drammatici e traumatici». E ancora, la «cultura dell’Europa nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma». Sono tutte espressioni sue tratte da quella prefazione. E poi l’amore per la musica. Trovo che l’unicità del loro rapporto si esprima meravigliosamente nell’immagine di quei concerti che il presidente Napolitano offriva in onore di Benedetto XVI e viceversa. Ricordo bene l’ultimo, pochi giorni prima delle dimissioni del Papa. Il Presidente passandomi accanto mi guardò e un po’ turbato mi disse che il Pontefice era molto stanco.
Che insegnamento ci lascia, Napolitano, significativo più di ogni altra cosa?
Difficile sintetizzare in due parole il lascito di un uomo che ha segnato la vita della Repubblica italiana e dell’intera Europa. Tra le tante cose: il suo contributo a radicare la vita della Repubblica italiana nella dimensione europea e, sul piano costituzionale interno, a consolidare il ruolo della Presidenza della Repubblica nel sistema istituzionale, quale arbitro delle dinamiche politiche e garante dell’unità nazionale.

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