venerdì 19 aprile 2013
L’intesa raggiunta su Marini «era un buon segnale» e «sarebbe bene mantenere quel clima». Ma il rischio è che la paralisi politica diventi istituzionale: «Serve rivedere la Carta». (Danilo Paolini)
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Cesare Mirabelli cita tutto d’un fiato l’articolo 2 della Costituzione, quello in cui la Repubblica si fa esigente e «richiede» ai suoi cittadini «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». In queste ore la Repubblica attende un presidente. E secondo il presidente emerito della Corte Costituzionale quella norma dovrebbe essere la bussola delle forze politiche chiamate a sceglierlo. Il problema, riflette, è che la bussola è utile per seguire una rotta e «qui una rotta non si vede». Eppure il porto d’arrivo è noto a tutti e non è il Quirinale, ma Palazzo Chigi: serve un governo che affronti l’emergenza economica e sociale. Dopo di che occorre cambiare la legge elettorale, i cui frutti acidi sono sotto il naso di tutti. E una revisione seria della Costituzione, con l’introduzione di elementi di chiarezza e di stabilità. Potrebbe essere il cancellierato alla tedesca o il semi-presidenzialismo alla francese. Invece... Invece siamo al giochino delle schede bianche per prendere tempo. Fermi.La difficoltà è evidente, soprattutto se considerata in relazione al contesto, perché, se isoliamo la questione Presidenza della Repubblica, anche altre volte è stata oggetto di dibattiti logoranti. Candidati ufficiali accantonati o eliminati da franchi tiratori... Cossiga e Ciampi a parte, nessuno è stato eletto al primo scrutinio.Per Giovanni Leone ce ne vollero 23.Appunto. Però erano contesti più assestati politicamente e, forse, anche meno gravi dal punto di vista economico. Adesso sembra che le forze politiche si siano un po’ "incartate": non c’è una lucidità di azione, di linea e di obiettivo, anche per l’intrecciarsi delle necessità di eleggere il capo dello Stato e di formare un nuovo governo. Se ci fosse un governo solido, il problema sarebbe meno acuto. Oggi, invece, ci si trova a dover risolvere una questione attraverso l’altra.La situazione è drammatica?Direi difficile. Ma si può e si deve superare rapidamente: siamo in una fase di stallo delle istituzioni. Ripeto, il Paese ha bisogno di una strategia.Non le sembra che stia mutando la natura dei partiti? Prendiamo il Pd di queste ore, accerchiato e condizionato nelle sue scelte da folle urlanti e anche da precisi ambienti culturali e, magari, editoriali.La crisi dei partiti è evidente e non si scorge soltanto nell’esempio che lei cita. Il rischio è che abbiano perso il rapporto con la società, mentre nel disegno costituzionale dovevano essere proprio robusti collegamenti con la società. Il rapporto nasceva anche da una forte collegialità interna, che in parte si è attenuata lasciando spazio a un’impostazione a volte verticistica. Servono i leader, non il leaderismo. Comunque, adesso il problema più urgente è superare lo stallo che, come hanno segnalato Confindustria e sindacati, non contribuisce al rilancio dell’economia. Occorrerebbe davvero un grande senso di responsabilità e di lungimiranza da parte della rappresentanza politica nel suo insieme.Le sembra possibile?Credo che un’ampia convergenza possa essere trovata su alcuni provvedimenti. Per esempio una nuova legge elettorale e, punto essenziale, interventi urgenti per creare lavoro e arginare l’avanzata della povertà. L’intesa che era stata raggiunta tra Pd e Pdl sul Quirinale poteva essere un buon segnale: significa riconoscersi reciprocamente come responsabili del buon andamento delle cose, sia pure con visioni diverse. Sarebbe opportuno che questo clima si mantenesse: dialogo e spirito non preclusivo.Il presidente più votato nella storia della Repubblica è stato Pertini, dopo ben sedici votazioni. Una volta si sentiva con più forza il dovere morale di un’indicazione condivisa del garante dell’unità nazionale?Attenzione, spesso ci si arrivava dopo lotte molto aspre tra e nei partiti e magari un po’... per stanchezza. In realtà, proprio Napolitano ha dimostrato che anche l’elezione a stretta maggioranza può garantire il ruolo super partes del capo dello Stato. Piuttosto, va osservato che nel tempo si sono accresciute le responsabilità del presidente della Repubblica, con la progressiva entrata in crisi del sistema governo-Parlamento.Quindi?Quindi è giunto forse il momento di rimettere mano al funzionamento complessivo delle istituzioni. Una condizione di stallo come quella attuale può essere un’evenienza eccezionale, ma se si ripete diventa una malattia. Detto della legge elettorale, si può pensare a modifiche più profonde.Per esempio?Per esempio l’introduzione della sfiducia costruttiva. Ma anche all’adozione di modelli che individuino con chiarezza poteri e responsabilità e garantiscano una capacità di risposta tempestiva ai problemi. Si può scegliere. Si può guardare vicino, culturalmente e geograficamente: in Francia c’è un semi-presidenzialismo con doppio turno elettorale; in Germania c’è il proporzionale con una soglia adeguata di sbarramento e governi stabili, mentre il presidente delle Repubblica ha scarsi poteri.
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