sabato 5 agosto 2017
Il prete smentisce contatti con Jugend rettet: «Ho inviato messaggi per aiutare i migranti a Guardia costiera, Acnur e altre Ong»
Don Mosè Zerai

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È vero, ho avvisato alcune Ong della presenza in mare di barconi di profughi bisognosi di soccorso. Ma lo faccio da anni. Prima di tutto avviso la Guardia costiera italiana, poi l’Acnur, quindi alcune organizzazioni non governative che hanno imbarcazioni nel Mediterraneo».

Non ha nulla da temere don Mosè Zerai, l’angelo dei profughi africani. Il suo nome compariva ieri in qualche articolo ambiguo che lo accostava alla Ong Jugend rettet, che si sarebbe mossa in acque libiche con le modalità denunciate delle autorità italiane anche raccogliendo i suoi messaggi in chat di whatsapp. Il pezzo lo accostava ai trafficanti di uomini, stessa accusa che gli viene rivolta da anni dal regime dittatoriale di Isaias Afewerki che gli ha tolto la cittadinanza. Ma da almeno otto anni il sacerdote di origine asmarina riceve chiamate a ogni ora da migranti in difficoltà lungo le rotte africane e in mare. E lui segnala. Lo faceva quando era studente nel collegio etiopico in Vaticano, lo fa ora in Svizzera dove è cappellano della comunità eritrea.

«Certo che invio messaggi alle Ong – conferma – , di norma avviso Medici senza frontiere, Watch the med, Sea Watch. Pubblico anche su Facebook le coordinate dell’imbarcazione omettendo il numero da cui ho ricevuto la chiamata per evitare che si intasi. Ma non ho mai avuto contatti diretti con i tedeschi della nave Iuventa. Non so se hanno usato i miei messaggi per salvare persone in difficoltà, forse qualcuno glieli ha passati. Ma non erano messaggi privati».

Sulla diminuzione delle partenze dei migranti dalla Libia negli ultimi 30 giorni il prete, che continua ad avere contatti telefonici e via social media con i migranti, si è fatto un’idea precisa. «Da quanto mi viene raccontato è l’effetto combinato di due accordi. Le coste sono pattugliate e bloccate sia dalla guardia costiera tripolina, fedele al governo Serraj, e che da quella di Tobruk che risponde al generale Haftar. Ma pochi parlano del blocco effettuato a sud dalle tribù che in aprile hanno siglato a Roma il patto con il ministro Minniti. I profughi finiscono in oltre 50 centri di detenzione aperti per imprigionare decine di migliaia di persone. La maggior parte proviene dall’Africa occidentale, quelli provenienti dal Corno saranno in questo momento 15 mila al massimo». Le condizioni di detenzione in questo Paese che non ha mai voluto sentir parlare della Convenzione di Ginevra e per cui i migranti sono tutti clandestini, sono immutate rispetto alle galere del colonnello Gheddafi. «Sono inumane», conclude don Zerai. Lo conferma Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Alto commissariato Onu per il Mediterraneo Centrale. «Non ci sono campi o centri per i migranti in Libia, solo prigioni, alcune controllate dalle autorità, altre da milizie e trafficanti, e vi sussistono condizioni orribili. Chiunque venga sbarcato sulle coste libiche torna in queste carceri».

Informazioni sulla Libia che le Ong, quelle che hanno firmato il codice e quelle che lo hanno respinto, vorrebbero ricevere da Roma. Come attendono disposizioni per rendere operativa l’intesa siglata per ora da quattro organizzazioni. Msf, che non ha firmato, finora ha salvato 144 persone collaborando con la Guardia costiera. Se le sarà chiesto di fermarsi, ha comunicato che andrà altrove.

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