
Stefano Carofei / fotogramma.it
L’attacco degli Stati Uniti all’Iran ha aggravato la crisi nella regione, con «enormi rischi» in un «frangente estremamente complesso». L’Italia, però, non ha preso parte all’operazione e almeno per il momento non ha concesso basi a Washington. Se poi dovesse arrivare una richiesta in tal senso, ci sarà un «passaggio parlamentare». Ma, a prescindere da questo, «è giunto il tempo di abbandonare ogni ambiguità»: Teheran deve «evitare ritorsioni» e «cogliere l’opportunità» per trovare un accordo sul programma nucleare, fermo restando il diritto a sviluppare tecnologie per l’uso civile.
È un passaggio parlamentare più delicato del solito quello che impegna Giorgia Meloni per le comunicazioni in vista del Consiglio Europeo del 26 e 27 giugno. Il colloquio di domenica con Elly Schlein assicura una continuità di vedute su alcuni princìpi, come la necessità di evitare che la Repubblica islamica si doti di un arsenale nucleare, e la stessa premier garantisce alla Camera che «l’importante dialogo tra governo e Parlamento» verrà ampliato. Una disponibilità ribadita in sede di replica con l’invito a evitare «toni da campagna elettorale», Questo però non basta ad abbassare la tensione e le risoluzioni delle opposizioni lo testimoniano.
Meloni sa bene che qualunque coinvolgimento di Roma nel conflitto, sia esso diretto o indiretto, sarebbe indigesto perfino a una buona parte della maggioranza e non è un caso che il suo discorso prenda le mosse proprio da lì. Il capo dell’esecutivo chiarisce che «nessun aereo americano è partito da basi italiane» e che «la nostra Nazione non ha in alcun modo preso parte alla operazione militare». Tuttavia il pericolo di un allargamento del conflitto è concreto, tanto che la possibilità di ricollocare in Oman l’ambasciata a Teheran «è allo studio del governo» (e in questo smentisce il ministro Antonio Tajani). Al contempo l’esecutivo sta «monitorando la situazione sullo Stretto di Hormuz», anche se l’Italia può contare sugli «approvvigionamenti energetici necessari» nel caso in cui lo scenario dovesse ulteriormente aggravarsi.
Non c’è solo l’Iran, però. Meloni tiene a sottolineare che l’impegno profuso da Roma al G7 di una settimana fa in Canada per un cessate il fuoco a Gaza continua. L’idea è ancora quella che «si possa cogliere il momento per porre fine alle ostilità nella Striscia» e che «si continui negli aiuti per una popolazione che ha patito troppo a lungo». Questo «è l’obiettivo fondamentale a cui stiamo dedicando i nostri principali sforzi». Del resto è ormai sotto gli occhi di tutti il fatto che «la legittima reazione di Israele a un insensato attacco sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili». Ma la fine delle ostilità potrà arrivare solo se Hamas smetterà di combattere, se «non avrà alcun ruolo» in futuro e se riconsegnerà tutti gli ostaggi. A quel punto si potrà guardare avanti e i «Paesi arabi della regione dovranno avere un ruolo principale». Su questo l’Italia è «pronta a offrire un contributo in cui due popoli e due Stati possano vivere in sicurezza», favorendo il coinvolgimento di «una riformata autorità palestinese».
Sul tavolo resta anche il nodo Ucraina, su cui Meloni sostiene di apprezzare qualche «passo in avanti», ancorché «insufficienti». Il punto è che «l’impegno di Kiev in favore della pace è chiaro», ma non quello della Russia, chiamata a «dimostrare seriamente» di voler sedere al tavolo negoziale. Al momento «i sistematici attacchi su obiettivi civili» fanno pensare che questa volontà non ci sia e dunque resta «importante esercitare una pressione coordinata». «Il diciottesimo pacchetto di sanzioni che si concentra sulla flotta ombra» per il petrolio è parte del processo, così come le altre misure su banche e settore energetico. Ciò detto, «l’obiettivo immediato è un cessate il fuoco che lasci il campo alla diplomazia per discutere un vero e duraturo accordo di pace».
Fin qui la relazione della premier, che lascia campo alle critiche delle opposizioni, in larga parte concentrate su Israele, sul posizionamento dell’Italia rispetto alle azioni di Netanyahu e sul rapporto di «sudditanza» nei confronti di Trump. La risoluzione più spinta è però quella dei 5s, che chiede di non escludere una futura collaborazione con la Russia sul gas, che alla fine incassa il no anche di Pd e Avs. Un particolare che genera reazioni indignate in entrambi gli schieramenti. Elly Schlein, leader del Pd, rinfaccia a Meloni di non aver mai citato Trump e Netanyahu e poi la pungola: «Dica chiaramente che l’Italia non si farà trascinare in questa guerra» con l’Iran.
Meloni, da parte sua, ostenta sicurezza, spiega di sentirsi il leader di «una nazione che conta» e difende la scelta di non interrompere gli accordi di cooperazione con Israele: «Non siamo favorevoli e non per ignorare quello che accade a Gaza ma perché isolare Israele potrebbe aprire a scenari catastrofici».
Per quanto riguarda Trump e le accuse di subalternità nei confronti degli Usa, la premier non si scompone. Chiarisce che dal suo punto di vista «è dalla fine della Seconda guerra mondiale che l’Europa occidentale è subalterna agli Usa per la semplice ragione che gli Stati Uniti si sono fatti carico di garantire la sicurezza del continente». Questo però non significa che non ci sia la «necessità di un riequilibrio all'interno della Nato». Il riarmo - oggetto delle critiche di Avs e 5s - è una parte di questo processo e Meloni prende in prestito le parole di Thatcher per giustificarne le ragioni: «Non dimentichiamoci mai che il nostro stile di vita, i nostri lavori e tutto quello che noi speriamo di raggiungere, non sarà assicurato da quanto siano giuste le nostre cause, ma da quanto è forte la nostra difesa».