
Giorgia Meloni parla con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, al summit del Med9 a Cipro, nell’ottobre dell’anno scorso. - ANSA
Giorgia Meloni è la settima leader europea a varcare la soglia dello Studio ovale dall’insediamento di Donald Trump. Quando a Washington saranno le 12, e in Italia le 18, la premier avrà il sospirato e temuto faccia a faccia con il presidente Usa, «amico» per affinità politica ma, oggettivamente, un’insidia ora per l’economia nazionale ed europea e un’incognita per gli sviluppi del conflitto in Ucraina. Dopo aver fatto crescere per giorni la narrazione dell’incontro della svolta, ieri in ambienti di maggioranza, mentre la premier era in volo, prevaleva la prudenza. Se non il tentativo di derubricare tutto a un ordinario bilaterale tra due leader del G7, da cui non attendersi sviluppi particolari. A ispirare prudenza sia gli avvertimenti (e i veti) dello stesso Trump sui negoziati anti-dazi, sia le costanti raccomandazioni della presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, che anche martedì sera ha chiesto «coordinamento» alla premier italiana. La politica tedesca è certa che Meloni non intavolerà trattative bilaterali Italia-Usa, ma teme l’effetto sulla fragile compattezza europea sia di sortite imprevedibili di Trump sia di posizioni non nette, che potrebbero prestarsi a interpretazioni sospettose da parte delle altre cancellerie del Vecchio Continente.
Mentre già Meloni era in volo, Palazzo Chigi ha diffuso un videomessaggio al Consorzio del Grana padano in cui la premier confermava che «la fase è complessa e in rapida evoluzione», e che il suo atteggiamento a Washington sarà ispirato a «concretezza, pragmatismo e lucidità», avendo ben chiaro che la priorità è l’«interesse nazionale».
Insomma, ci si approccia al “ciclone-Donald” mettendo sulla schedina il più classico degli 1-X-2. Con scarse speranze di provocare una prospettiva diversa sui dazi (martedì Trump ha rispedito al mittente la proposta “dazi zero” presentata dalla Commissione Ue), con la determinazione però di difendere fino in fondo la linea euro-occidentale sull’Ucraina. Sul punto Meloni si è preparata anche alla scena cui sono già stati sottoposti Macron e Starmer, che durante i pochi minuti pubblici di pre-bilaterale hanno palesemente contrastato la versione del presidente Usa sul contributo militare europeo.
È probabile che Meloni metta nel sacco e riporti in Europa le richieste già note di Trump per negoziare sui dazi, forse con l’aggiunta di qualche gancio in più cui attaccare le speranze di trattativa. Il presidente Usa, nonostante l’agenzia Fitch abbia ieri stimato un aumento del Pil globale in caduta sotto il 2%, ha in realtà già fatto capire a cosa punta: «O con noi o con la Cina», ha detto anche ieri. Washington tira dritto, insomma, anche se il fronte del dissenso interno si arricchisce con l’annuncio della California guidata dal dem Newsom di agire legalmente contro il presidente per le sue politiche tariffarie, che starebbero danneggiando la Silicon Valley. Ma il taglia-fuori americano verso Pechino è drastico. La premier italiana ha dalla sua la scelta di aver interrotto l’accordo sulla Via della Seta, ma aprire un fronte commerciale con la Cina non va certo nella direzione della distensione globale. Perciò anche New York Times e Washington post vedono più insidie che opportunità nell’incontro.
Ad accompagnare la premier ci sarà anche il consigliere militare Franco Federici, a conferma che il tema dell’aumento della spesa in armi sarà centrale. Avvolto invece da una mezza coltre di mistero l’ipotesi che Musk possa vedere Meloni, o addirittura partecipare al bilaterale. Al momento la sua presenza non è in agenda.