lunedì 13 giugno 2016
​All'alba di domenica, sotto la pioggia l'arrivo a Loreto. Il "diario" di chi ha partecipato. di Angelo PIcariello
Camminare positivo di Giorgio Paolucci
Macerata-Loreto, un popolo in marcia
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Quando, intorno alle 5 e 40 di domenica mattina, puntuale sulle previsioni, quel grande tappeto umano avanza lungo il viale che sale verso la Santa Casa di Loreto, cantando e alzando ritmati gli ombrelli e le mani (“Sapete voi che c’è nel mondo una gran casa…”) i primi, i disabili con i loro accompagnatori dell’Unitalsi, sono appena transitati e gli ultimi, sei-sette chilometri più indietro, hanno appena ricevuto anche loro, a Chiarino, il thè e i biscotti per rifocillarsi prima dell’ultimo strappo. Poco prima di Loreto, da un poggio, dove la strada fa una piccola curva, la splendida vista panoramica impone di voltarsi per un attimo a guardare quell’enorme fiume umano che si dirige verso la stessa meta. Sullo sfondo le fiaccole accese a San Firmano, a metà percorso, che hanno resistito poco all’acqua caduta, a tratti, dal cielo. “Mi dice il mio Vescovo che piove lì”.

L'arrivo a LoretoAnche quest’anno papa Francesco non aveva fatto mancare la sua voce, al telefono, in diretta, mentre allo stadio Helvia Recina di Macerata decine di migliaia di pellegrini erano riuniti per la meditazione e la concelebrazione iniziale: “Anche la pioggia è una grazia, è come la figura della grazia di Dio che viene su di noi”, ha incoraggiato tutti, il Papa. “La vita è un cammino. Nessuno di noi sa quanto durerà, ma non si può vivere la propria vita essendo fermo. La vita è per camminare, per fare qualcosa, per andare avanti, per costruire una amicizia sociale, una società giusta, per proclamare il Vangelo di Gesù”. Per i pellegrini del Macerata-Loreto, c'è la promessa del Papa di star loro vicino ma anche la richiesta di fare altrettanto, loro: “Camminate sempre nella vita; mai, mai fermarsi, sempre in cammino. La vita è questo! E pregate anche per me, perché io non mi fermi e continui ad andare in cammino. Il cammino che il Signore mi dirà come fare”. Solo qualche goccia, alla fine, niente al confronto con il diluvio che funestò la prima edizione, nel 1978. “Fu un disastro – ricorda don Giancarlo Vecerrica, amministratore apostolico della diocesi di Fabriano-Matelica, che per primo propose questo gesto, a 300 giovani, 37 anni fa – la pioggia battente, sbagliammo anche strada, eravamo tentati di rinunciare”, ricorda. Invece, il gesto è andato crescendo di anno in anno, grazie a tre apporti fondamentali. Il primo, quello da parte di Comunione e Liberazione, che lo ha iniziato a proporre a tutto il movimento. Il secondo, della Chiesa marchigiana, che non è stata da meno e lo ha assunto come momento corale di tutte le diocesi della regione. Ma fondamentale è stato il paterno incoraggiamento dei tre papi che si sono succeduti in questi lunghi anni che non hanno mai smesso di far sentire la loro vicinanza, fino alla visita, nel 1993, di Giovanni Paolo II, i messaggi di Benedetto XVI, fino alle “sorprese” di Papa Francesco, sempre presente con una telefonata o un video-messaggio. «Fondamentale, dopo le prime due edizioni andate così così – ricorda monsignor Vecerrica – fu quella richiesta, fatta proprio a me, da Giovanni Paolo II, “questi giovani – mi disse – me li devi curare ad uno ad uno”». Una raccomandazione che, tanto tempo dopo, calza a pennello con il tema scelto quest’anno (“Tu sei unico”) ricavato da una bruciante risposta che il papa diede a un fedele che, nel corso di una udienza in San Pietro, l'aveva definito “unico”. “Anche tu sei unico!”, gli rispose il Santo Padre. E forse - senza scomodare le analisi sociali che per fortuna hanno risparmiato questo gesto di popolo, che resta lontano dai riflettori dei grandi media – è questa la chiave attraverso la quale spiegare il grande “successo” di questo momento di fede popolare: un'occasione da tanti ricercata, per andare al cuore delle propria vita, oltre l’esistenza “ammatassata” di oggi – per usare un’espressione del cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo durante la concelebrazione allo stadio di Macerata – che chiede la gioia a cose effimere che non la possono assicurare. Pellegrini da tutta Italia, ma anche dall’estero (Svizzera, Spagna) testimonianze significative come quelle dei detenuti del carcere di Padova, o del parroco di Aleppo padre Ibrahim Alsabagh. Tutti in cammino, “come il figliuol prodigo, con una grande nostalgia per la casa del padre”, ha scritto monsignor Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione nel suo messaggio. Ma la grande apertura nazionale e internazionale del gesto – basta guardare i cartelli e le intestazioni degli oltre 300 autobus convenuti qui – non ha fatto perdere al pellegrinaggio la connotazione di un gesto essenzialmente voluto e promosso dalla Chiesa locale: “Nei primi anni ’70 – ricorda monsignor Vecerrica - all’inizio delle vacanze ci ponevamo il problema che queste non diventassero un momento di dispersione, dopo la chiusura delle scuole. Per questo ci inventammo i campi di lavoro da vivere insieme ai contadini, e a un certo punto ci venne l’idea di riprendere l’antica tradizione della zona, diffusa soprattutto fra la gente dei campi, di offrire tutte le intenzioni per la raccolta nei campi alla Madonna di Loreto. Affidammo quindi alla Madonna di Loreto le loro intenzioni per gli esami di scuola o dell’università». Nacque così, il Macerata-Loreto, così la cupola della Santa Casa, che domina il paesaggio marchigiano, riprende il suo ruolo di riferimento per tutto il popolo della regione, e non solo. Alle 9 la lunga fila per entrare e pregare davanti alla cappella della Madonna Nera di Loreto è terminata, e ognuno, riprendendo i treno, l'autobus o la propria macchina può tornare a casa. Con tanta fatica addosso, ma tanta speranza in più nel cuore per la sua vita "unica".
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