giovedì 1 dicembre 2022
Tempi stretti: modifiche solo alla Camera. Si prova a rafforzare la misura per l'uscita dal lavoro delle donne
La delegazione Azione-Iv lascia Palazzo Chigi dopo l'incontro sulla manovra

La delegazione Azione-Iv lascia Palazzo Chigi dopo l'incontro sulla manovra - Ansa

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Pronti via e l’esame della manovra alla Camera è già in stallo: perché mentre le commissioni di Montecitorio iniziano a prendere confidenza con il testo, il governo è in preda a un profondo ripensamento su una misura molto ridimensionata, sino a quasi annullarne l’efficacia: opzione-donna, il meccanismo che negli anni scorsi ha favorito il pensionamento anticipato di lavoratrici di lungo corso e che, applicata così come l’esecutivo Meloni l’ha ridisegnata, agevolerebbe pochissime persone.

Allargare le maglie, però, significherebbe trovare nuove risorse e spendere parte di quel tesoretto, 400 milioni, che Palazzo Chigi e il Mef volevano lasciare alle modifiche dei partiti di maggioranza. Un bel nodo, che si aggiunge a quello dell’allentamento dell’obbligo di Pos per gli esercenti, che resta sub judice sino all’atteso chiarimento con l’Ue.

Nodi, soprattutto, che s’intrecciano alla questione più grande: i tempi.

L’aula della Camera riceverà la manovra il 20 dicembre, 11 giorni prima che scatti l’esercizio provvisorio di bilancio: al Senato non resterà altro che formulare un giudizio notarile su quanto sarà trasferito da Montecitorio.

Dal punto di vista tecnico, la premier e Giorgetti hanno preso atto del numero ridottissimo di lavoratrici che si trovano nel 2023 dentro i nuovi criteri di opzione-donna: persone di almeno 60 anni (58 con due o più figli) che devono essere o caregiver, o invalide almeno al 75% o dipendenti di aziende in crisi. L'argomento è stato al centro di riunioni informali alla Camera tra la ministra del Lavoro Marina Calderone e alcuni esponenti della maggioranza. Si sta cercando una mediazione, mentre il ritorno alla norma originaria costerebbe intorno ai 90 milioni di euro. L’esecutivo vuole fare uno sforzo anche per stemperare i toni con i sindacati, sul piede di guerra per il taglio delle rivalutazioni delle pensioni medie.

Opzione-Donna scala dunque la classifica dei problemi da risolvere e acuisce le tensioni interne alla maggioranza, dove Forza Italia e Berlusconi in persona chiedono interventi migliorativi su decontribuzione delle assunzioni dei giovani, pensioni minime e superbonus.

Il pressing del Cav è aumentato dopo l’incontro di martedì tra la premier Meloni e il leader di Azione Carlo Calenda, cui l’ex ministro ha fatto seguire larghi attestati di stima verso l’inquilina di Palazzo Chigi. Che ieri, tra l’altro, ha ricambiato, facendo filtrare l’intenzione di «approfondire ognuna delle proposte» presentate da Calenda: dal Reddito d’inclusione al caro-bollette, a Imprese 4.0. Scambi che irritano la componente forzista della coalizione di centrodestra, sebbene l’ipotesi di un avvicendamento in maggioranza venga classificato, allo stato, come fantapolitica.

Si cercherà, per quanto possibile, di tenere separate le questioni di visibilità politica da quelle di merito. Ad esempio, sul superbonus anche i gruppi di Fdi ora chiedono interventi sulla cessione dei crediti, unendosi alle voci di Fi e Lega. Inoltre, c’è da rispondere agli appelli multipartisan, anche di governatori di diversa estrazione politica, perché venga rimpinguata la cassa della Sanità.La correzione parlamentare della manovra andrà di pari passo alla trattativa con Bruxelles, più o meno formale, sul Pnrr. L’attesa “task-force” della Commissione Ue è già da qualche giorno a Roma, e si succedono incontri informali con ministri e dirigenti apicali dei ministeri. La sensazione è che l’Europa voglia concedere ben poco per non aprire il vaso di Pandora con tutti gli Stati membri.

Ma mano a mano i ministri più vicini al dossier iniziano a esporsi: Nello Musumeci, ad esempio, ieri ha accennato all’ipotesi di chiedere una proroga dei temini dal 2026 al 2028. Un dossier dell’esecutivo dovrebbe, nei prossimi giorni, “giustificare” questa richiesta, insieme alla rimodulazione di alcuni obiettivi e conseguente ripartizione dei fondi. Si stima un ritardo di circa 40 miliardi a fine 2023 rispetto alle somme che dovrebbero essere “messe a terra”. È in ogni caso una partita pericolosa per il governo, che si muove sul filo tra affidabilità e discontinuità. Specie se continuasse a crescere quel tam-tam che vedrebbe la maggioranza intenzionata a ridiscutere riforme come quella delle concessioni balneari. I fronti con l’Ue, in ogni caso, aumentano anziché diminuire: è di ieri la ferma opposizione del ministro Fitto all’ipotesi di includere le navi, già dal 2026, nelle norme per ridurre le emissioni.

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