giovedì 22 novembre 2018
Il premier interviene alla Camera, al suo fianco Di Maio e Savona. Non c'è invece Salvini, in campagna elettorale in Sardegna
Il premier Conte alla Camera (Ansa)

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Giuseppe Conte parla alla Camera della bocciatura Ue tenendo alla sua sinistra Luigi Di Maio e alla sua destra Paolo Savona. Non c’è, ed è in campagna elettorale in Sardegna, Matteo Salvini. Contesti diversi, parole diverse, forse scelte diverse anche su come rapportarsi al negoziato con l’Europa.

Il premier aperturista, che accenna a «rimodulazioni» delle misure e a «tempi molto distesi» nel caso l’Ecofin, il 22 gennaio, approvi l’avvio della procedura Ue per debito eccessivo. Il vicepremier leghista invece gasatissimo sul «tirare dritto», al punto di dire all’Ue «ora ve la mandiamo noi una lettera, ci avete rotto le scatole». Il tutto condito dall’ennesimo litigio a distanza con il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, che è l’unico di giornata, insieme a Salvini, a non rispettare la consegna dei «toni bassi».

In mezzo tra Conte e Salvini c’è Luigi Di Maio che auspica sì il «dialogo», ma senza «macelleria sociale» a danno degli italiani. Per poi rafforzare la linea in serata: «No al muro contro muro, voglio dialogo a oltranza ma non possiamo tradire gli italiani».

È il giorno, insomma, in cui emerge una divergenza di linea tra M5s e Lega. Difficile dire se si tratta di una divergenza vera o tattica, il classico gioco del poliziotto buono e di quello cattivo. Tuttavia va registrata.

Va registrato con attenzione un premier che dinanzi alle Camere sembra avere chiaro la timeline della crisi con la Ue. Domani sera, alla cena con Juncker cui parteciperà anche il ministro dell’Economia Tria, Conte si fermerà sulle riforme e sulla crescita, le stesse che ha illustrato ieri ai deputati. Indugiando più sui «36 miliardi pronti per le infrastrutture», sugli interventi di semplificazione e dismissione, sul Codice degli appalti che non sulle misure di spesa, Reddito e quota 100. «Ci sarà un’accelerazione degli investimenti – è la frase più pregnante – e rimodulazione in Parlamento di alcuni interventi se possono accrescere gli effetti positivi sulla crescita senza alterare ratio e contenuti».

Pregnante ma ancora vaga, in realtà. Ma è chiaro il riferimento al Reddito di cittadinanza e a quota 100, la cui definizione precisa avverrà con due decreti dopo il varo della manovra. Se ciò non basterà a convincere l’Ue ad evitare la procedura per debito, allora l’Italia negozierà «tempi di attuazione molto distesi», di modo che si possa prima verificare se la manovra è capace di dispiegare il potenziale di crescita stimato dall’esecutivo.

Di Maio è in continuità con Conte e spiega meglio: fino alle Europee non ci sarà alcuna correzione della manovra. A questo punto l’Italia. A dare Reddito e pensioni prima del voto, lasciando il monitoraggio su deficit e Pil al secondo semestre del 2019, quando potrebbe nascere un’altra fase politica ora nebulosa.

Salvini e Moscovici invece sono su un altro pianeta, in piena campagna elettorale. «L’Italia ha buttato la pallina in tribuna non vicino alle linee, l’arbitro non può dare il punto. Non può esserci una trattativa da mercanti di tappeti», attacca il commissario francese. «Ci rispetti», tuona Salvini. Moscovici chiarisce che non voleva essere offensivo, ma il vicepremier leghista è un fiume in piena: «Non ci rompete le scatole». A proposito di abbassare i toni. E in serata il fastidio a Palazzo Chigi e ai vertici M5s è palpabile: ancora una volta il peso delle mediazioni ricade su Di Maio e Conte, mentre Salvini fa il battitore libero.

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