lunedì 28 agosto 2023
La scelta dell'ex ct azzurro: mancanza di rispetto o coerenza con il suo carattere? Due tesi a confronto
La prima conferenza stampa di Roberto Mancini in Arabia

La prima conferenza stampa di Roberto Mancini in Arabia - Ansa

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Caro Roberto, noi tifosi azzurri meritavamo più rispetto di Andrea Lavazza

Nell’era dell’impulsività da social network, prima di esprimere un giudizio, meglio contare fino a 10. Anzi, almeno a 12. E pazienza se si arriva dopo i velocisti da tastiera. Soprattutto se l’oggetto del commento è Roberto Mancini, campione d’Europa in carica con la Nazionale italiana di calcio. Certo, ha lasciato l’incarico a Ferragosto con un messaggio di posta elettronica certificata, a meno di un mese da delicate partite di qualificazione. E, dopo avere fatto filtrare motivazioni legate a ragioni personali (una depressione a seguito della scomparsa degli amici Vialli e Mihajlović?), è arrivato invece l’annuncio dell’ingaggio in Arabia Saudita per 30 milioni di euro in tre anni (più o meno) con tutti i suoi storici collaboratori.

Fin qui i fatti, già un po’ connotati. Ma bisogna pur tenere conto che Mancini sta insieme a questi nomi per vittorie con gli azzurri: Pozzo, Valcareggi, Bearzot e Lippi. Miti nella storia dello sport del pallone. Ovvio, a contraltare negativo per il c.t. uscente c’è la mancata qualificazione ai Mondiali del Qatar, ferita bruciante, soprattutto perché ci ha condannato alla seconda assenza consecutiva dal massimo torneo per nazioni. Siamo nell’era del professionismo, le “bandiere” (come si dice) non ci sono più.

Quindi, tutto legittimo. Tuttavia, noi tifosi dell’Italia un po’ male ci siamo rimasti. Non poteva esservi un po’ più di trasparenza? E di rispetto per i milioni di appassionati? E per il Paese, azzardiamo a dire. Tutte le scuse accampate, compreso l’essere stato maltrattato dalla Federazione, appaiono infondate e suonano un po’ stonate. Non era meglio dire subito e chiaramente: c’è un’offerta imperdibile a fronte di stimoli che sull’attuale panchina ho smarrito? E non sarebbe stato preferibile farlo prima? Forse l’offerta è giunta inaspettata a metà agosto. Sarebbe servito allora metterci la faccia senza tanti giri di parole. Dagli spot per la bellezza delle Marche a quello per il regime saudita era un po’ troppo da dichiarare in conferenza stampa a Roma? Questo scrupolo segnala che in definitiva c’è qualcosa di sbagliato e di troppo nella vicenda. In bocca al lupo, Mancini. Ma se vi sarà un’Italia-Arabia Saudita vorremmo sorridere davanti a un bel 6-0.

No, non hanno contato solo i 30 denari. Un dribbling al pressing alto della Figc di Massimiliano Castellani

Difficile fare l’avvocato difensore di Roberto Mancini, anche perché un avvocato ce l’ha già in casa, l’attentissIma moglie, l’avvocato Silvia Fortini, che ha avuto un ruolo importante nel pasticciaccio azzurro delle dimissioni del marito. Ora tutti sparano a zero sul “Mancio d’Arabia”, sulla sua venalità che gli ha fatto rinnegare l’amor patrio per la Nazionale. Per cosa poi, per quei miserabili 30 denari sauditi, che al cambio comunque sono 30 milioni di euro per le prossime tre stagioni da ct a Riad.

La paura dalle nostre parti fa 90, mentre per Mancini il conto corrente segna 90 milioni in più. Ma ridurre tutto a un fatto da pecunia non olet è forse un po’ troppo. Prima di tutto bisogna conoscere un po’ la storia di questo ex golden boy del calcio italiano, uno dei pochi che a 15 anni (come lui solo Rivera) era già arrivato in Serie A (al Bologna). L’uomo in più in campo e molto prima che diventasse il capitano della scapigliatissima ciurma della Samp dello storico scudetto, il piccolo Mancini era già il genietto dell’Aurora. La squadra della parrocchia di San Sebastiano, quartiere popolarissimo di Jesi, dove il parroco di allora don Vigo una domenica arrivò persino a celebrare più in fretta possibile la Santa Messa dei cresimati, in modo che Roberto potesse raggiungere i suoi compagni e giocare, e ovviamente farli vincere.

Il Mancio è nato con le stimmate del vincente e del protagonista assoluto. La sua carriera di calciatore e poi di allenatore va tutta in questa direzione. Un Vanesio Vanesi del teatro pallonaro, sempre elegantissimo e con il bulbo stirato, il ciuffo Mancio non sopporta due cose: l’essere criticato e l’invidia, che considera la vera “pandemia umana”. Su quest’ultima possiamo dargli anche ragione, sulla critica invece spesso si è creato molti nemici per l’incapacità di sopportarla.

E la critica nei suoi confronti da parte della Federcalcio è stata silenziosa ma anche stillicida. E c’era da aspettarselo che il pressing negativo dei graviniani avrebbe portato al suo ultimo colpo di testa. Sicuramente ha sbagliato tempi e modi per dimettersi da c.t., però di sicuro non ha sbagliato ancora a scegliere il certo per l’incerto. Possiamo non condividere la sua scelta, ma in questa decisione di accettare la proposta araba c’è tutta la filosofia di vita di Mancini, uno che è arrivato dal nulla e che dal calcio è stato abituato ad avere tutto e subito. Pertanto, anche la sua ultima richiesta è stata esaudita.

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