lunedì 14 aprile 2014
​In Italia mille patologie orfane di diagnosi e terapie. "Questi pazienti vanno rimessi al centro della sanità".
Perché sperare di Luciano Moia
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«Circa il 30% delle malattie rare riduce le attese di vita a meno di cinque anni, ma per ben il 70% dei casi sono disponibili trattamenti variabilmente efficaci». Il realismo di Bruno Dallapiccola, genetista di fama internazionale e direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, è colmo di ottimismo per i progressi della ricerca nel campo delle malattie rare. Il convegno "Il ruolo della cooperazione sociale nella lotta alle malattie genetiche e rare", promosso dalla cooperativa sociale Magi-Euregio in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, Ufficio per il programma di governo, è stata l’occasione per fare il punto su un mondo ricco di declinazioni e di difficoltà quale quello delle patologie rare. Secondo gli ultimi dati disponibili, sono 9.600 le malattie di questo tipo censite nel mondo (la stima finora era di 5-6mila patologie diverse): nonostante i malati affetti da una singola patologia siano molto pochi, la loro somma complessiva arriva a costituire una cifra rilevante che rappresenta circa il 10% delle persone affette da patologie invalidanti.Nel corso della sua relazione, Dallapiccola ha spiegato le motivazioni della complessità della diagnosi, spesso ritardata o mai raggiunta, e della laboriosità della presa in carico dei pazienti, «complicata dal fatto che molte di queste situazioni richiedono l’intervento di più specialisti e sono croniche, interessano cioè tutto l’arco della vita». Ha però anche sottolineato come il bagaglio degli interventi disponibili in merito si è significativamente ampliato negli ultimi anni «e la ricerca nel settore della terapia è in continua espansione».Il professor Giuseppe Noia, responsabile del Centro di diagnosi e terapia fetale presso il Policlinico Gemelli di Roma, ha narrato con grande intensità il percorso della diagnosi prenatale: dalla scoperta di un’anomalia fetale, alle possibili cure in utero, fino ad arrivare all’accompagnamento post parto dei casi a prognosi infausta. «La diffusione di una scienza e di una cultura prenatale senza speranza dopo una diagnosi di patologia fetale propone solo l’interruzione di gravidanza – ha denunciato Noia –. Noi abbiamo scelto da trent’anni di fare diversamente, eseguendo terapie al feto con metodiche invasive e non invasive, ottenendo ottimi risultati nel 60% dei casi». Laddove però tutti gli sforzi congiunti della medicina e della scienza non siano stati efficaci, esiste una terza via: l’accompagnamento dei nascituri e delle famiglie verso la fine naturale grazie all’associazione La Quercia millenaria, che opera come hospice perinatale.È toccato a Giuseppe Milanese, presidente Confcooperative Federazione sanità, sottolineare l’indietreggiamento dei sistemi di welfare di Stato in tutta Europa che rischia di compromettere la realizzazione e la qualità dei servizi socio-sanitari ai cittadini: «La cooperazione attualmente nel nostro Paese offre servizi a circa 7milioni di cittadini – ha spiegato Milanese – tra cui spicca l’assistenza domiciliare integrata». Nel contesto delle malattie genetiche e rare, il valore aggiunto della cooperazione nasce «dal rimettere al centro la persona e i suoi bisogni, privilegiando le istanze sociali che provengono dalla fragilità dei pazienti e delle loro famiglie».E proprio dell’attività riguardo le malattie rare svolta dalla cooperativa sociale Magi-euregio ha parlato il presidente Matteo Bertelli, che ha evidenziato come «ben 1.000 malattie nel nostro Paese sono dichiarate “orfane”, ovvero prive di diagnosi e di terapie adeguate, costituendo un problema sanitario da non sottovalutare». L’intervento, in questa prospettiva, è da declinarsi nell’etica di ispirazione cattolica «che vede nei valori del rispetto della vita, della solidarietà verso il più debole e della rinuncia al profitto le basi dell’operare».
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