lunedì 13 ottobre 2014
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Depressione post partum, questa sconosciuta: se ne parla solo nei casi estremi, quando una madre "inspiegabilmente" uccide la propria creatura. Allora ci si chiede perché nessuno avesse saputo prevenire e curare. Ma di Depressione post partum (Ddp) soffrono 80mila delle 550mila donne che partoriscono ogni anno in Italia, ovvero una ogni sette. E quel che è peggio è che i loro figli in molti casi ne risentiranno con disabilità anche gravi, come dimostra una vasta letteratura scientifica: quoziente intellettivo più basso di 5 punti, tendenza ad ammalarsi 7 volte maggiore, comportamenti violenti in età adolescenziale e adulta... «Curare le madri significa prevenire la disabilità nelle future generazioni», spiega Antonio Picano, dirigente psichiatra all’ospedale San Camillo di Roma e presidente di Strade onlus. Ma la Ddp è un male sfuggente, difficile da intercettare, e tutti i modelli di cura provati nel mondo sono falliti, così Picano e il San Camillo di Roma lanciano una sfida che ha tutti i numeri per farcela: verrà presentato domani e dopodomani in un convegno scientifico internazionale in Campidoglio il "Progetto Rebecca Blues", il primo social network per curare la depressione delle neomamme e proteggere i figli dalla conseguente disabilità.In pratica "Rebecca Blues" (la biblica Rebecca, madre di Giacobbe ed Esaù, è simbolo di una donna che ce la fa) sarà un’app scaricabile gratis su smartphone e tablet da tutte le mamme dopo il parto, e le metterà in stretto contatto con il loro medico di fiducia, andando ad agire in modo soft proprio sul rapporto medico-paziente (quello che le mamme depresse evitano). Basterà registrarsi nel programma, poi il tutto è automatico: sul cellulare della donna periodicamente compare un test e, in base alle risposte che lei digita, al medico arriva un semaforo verde (tutto va bene), giallo (preallarme) o rosso (emergenza). Il dottore, indicato dalla donna, può essere il suo medico di base, oppure il ginecologo, il pediatra del suo bimbo, lo psicologo: se aderisce, viene formato e potrà interagire in modo rapido, efficace e rispettoso: «Solo un quarto delle 80mila madri depresse chiede aiuto – continua infatti lo psichiatra –, perché la vergogna è parte strutturale della patologia. Non si confida con nessuno, tantomeno col marito, dal quale ha paura di essere giudicata. Pensate a cosa prova: ama immensamente suo figlio, ma nel contempo sviluppa un’avversione verso di lui perché si sente incapace di farsene carico, la lacerazione è terribile. Solo una ventina di loro sfocia ogni anno nell’infanticidio, ma il problema per tutte le altre ha ricadute sociali enormi». La mamma depressa, infatti, non instaura quel giusto rapporto col figlio, non si cura abbastanza di lui, non stabilisce il contatto adeguato proprio nei mesi in cui si fondano le sue caratteristiche psichiche e fisiche... Storicamente le altre donne nella rete familiare e sociale compensavano le sue difficoltà, ma oggi questo non avviene più.Il picco della depressione arriva tra i 60 e i 90 giorni dopo il parto, «o si riesce a intercettarle entro un paio di settimane, nell’ultima finestra ancora utile di tempo, oppure poi diventa difficile aiutarle». Ed ecco allora che l’app pensata da Strade onlus per gli smartphone e i tablet è la semplice ma geniale arma vincente, capace forse di prevenire chissà quante possibili tragedie. «Una cosa che certamente queste madri depresse e con bimbo a carico non fanno mai è di andare a farsi visitare – ricorda Picano –, quindi abbiamo anche messo a punto al San Camillo un modello di accoglienza per madre e neonato insieme». Il programma assicura un approccio di massa ed economicamente pesa pochissimo, è pensato su scala nazionale e presto dovrebbe essere diffuso anche in altri ospedali d’Italia. I sistemi provati negli Usa o in Australia sono tutti falliti: costosa e invasiva l’èquipe multidisciplinare in visita una volta al mese a casa delle donne, inutile il coinvolgimento dei ginecologi (la depressione subentra ben dopo il parto) e quello dei pediatri (più presenti dopo il parto, ma le madri non sono loro pazienti e il passaggio di competenze allo psichiatra sono risultate problematiche).«Una cosa è certa – conclude l’esperto –, l’obiettivo vero è la famiglia, fondamentale nel meccanismo di supporto alla madre. La famiglia non nasce come fatto culturale, come sostiene oggi qualcuno, ma è condizione ontologica: 40mila anni fa l’uomo di Neanderthal e il Sapiens coesistevano, il primo si estinse e il secondo restò padrone del mondo, perché la sua struttura era già familiare».
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