mercoledì 18 giugno 2025
Il caporedattore di Avvenire si mostra sorpreso e orgoglioso per la citazione nelle tracce dei temi: le parole vanno abitate e usate in un certo modo, per questo la comunicazione è importante
Riccardo Maccioni

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Nel tempo della comunicazione istantanea, di relazioni filtrate dai social e di un linguaggio spesso improntato all’aggressività, una parola preziosa va al centro del dibattito pubblico in quanto selezionata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito tra le tracce della prima prova scritta dell’Esame di Maturità 2025, dopo essere stata stata scelta dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani come parola dell’anno 2024. Si tratta della parola "rispetto", proposta a partire da un brano di un articolo di Riccardo Maccioni, uscito lo scorso anno su "Avvenire".

Il brano proposto, ricco di richiami etici, culturali e linguistici, partiva da un concetto tanto semplice quanto efficace sulla parola "rispetto" che, scriveva Maccioni «esprime attenzione, gusto dell’incontro, stima» contro l'indifferenza, la noncuranza, la sufficienza, l’insolenza, il disprezzo e lo spregio. E così, fra i 7 temi proposti, vicino a «giganti» come Pasolini per la poesia e Tomasi di Lampedusa per la prosa, il caporedattore di Avvenire, che si mostra sorpreso: «Sono stato avvisato dai primi messaggi di colleghi e amici stamattina. Non pensavo proprio a una cosa del genere. Sono rimasto sbalordito, molto colpito dal fatto che la mia riflessione fosse accanto a quella di un gigante come Pasolini».

Che messaggio speri sia arrivato ai ragazzi che hanno scelto la tua traccia?

«Ho una speranza: che coloro i quali hanno scelto la traccia tratta dal mio editoriale siano invogliati a guardarsi dentro, per cercare elementi positivi. Oggi spesso manca il rispetto, siamo più violenti, più aggressivi, ma rispetto è guardarsi dentro per scoprire i semi della costruzione di una società migliore, fondata su un’idea positiva dello stare insieme. Credo che il rispetto sia un valore costruttivo, un invito a costruire, e spero che i ragazzi e le ragazze trovino dentro elementi che li invoglino al rispetto».

Oggi si sta perdendo il senso del rispetto?

«Ci viene spesso suggerito che si sta perdendo il rispetto. Siamo in un periodo in cui si tende a trasformare in positivi valori che in realtà sono negativi. Faccio l’esempio della cattiveria: è vero che bisogna sempre contestualizzare ma ad esempio nello sport, nell’agonismo, che ha una sua dimensione particolare, quando una squadra perde capita si dica che si è perso perso perché non si è stati sufficientemente cattivi. Questo credo sia già un modo per far passare come positivo un elemento negativo».

E invece cosa significa per te “rispetto”?

«Il rispetto implica un’altra cosa: considerare sempre l’altro. Questo vale anche per noi giornalisti: quando raccontiamo una vicenda, dobbiamo sempre ricordarci che ci sono persone umane dall'altra parte. Dobbiamo guardare alla persona nella relazione, per far sì che non si cada nell’altro grande rischio della società di oggi, ovvero l’indifferenza. Anche di fronte alle grandi crisi internazionali, invece, ci si preoccupa solo se hanno conseguenze dirette sulla nostra vita il più delle volte».

Da dove bisognerebbe ripartire per recuperare il valore del rispetto?

«Io credo che si debba recuperare l’origine della parola: “rispetto” significa guardarsi dietro e guardarsi dentro, quindi, una capacità introspettiva. E poi, si dovrebbe recuperare la dimensione dello stare insieme, uscire dall’individualismo e dal narcisismo. È una chiave di lettura che ci fa interpretare il mondo e ci fa capire che dobbiamo costruire insieme. Il rispetto implica sempre relazione».

Che ruolo gioca il linguaggio nella costruzione di una cultura del rispetto?

«Mi colpisce sempre quando, sui social, o in certi video, si leggono commenti del tipo: “Ecco come Questo ha asfaltato Quello.” Sembra quasi si debba sempre essere aggressivi per forza. Invece il rispetto è anche un invito a usare parole di pace, parole disarmate e disarmanti, come dice il Papa e come credo debba essere il linguaggio. Dobbiamo purificare le parole del vocabolario».

Che potere hanno le parole?

«Le parole non sono semplicemente fiato e voce. Le parole vanno abitate, vanno usate in un certo modo, perché la comunicazione è il primo passo del rispetto».

Cosa diresti ai ragazzi per aiutarli a riflettere sul rispetto?

«Li inviterei a pensare ai propri fallimenti, a quando si sono sentiti “finiti”, e a riflettere su cosa li ha aiutati in quel momento. Cosa hanno saputo dare ad amici o familiari che erano in quella condizione? Presentare il proprio fallimento come uno strumento per rialzarsi. Ricordarsi di cosa abbiamo bisogno quando ci sentiamo nulli e persi. Ecco: il rispetto è anche fare entrare nella nostra vita i fallimenti degli altri, per crescere insieme».

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