lunedì 19 luglio 2010
Sono sempre più alla ricerca della sostenibilità ambientale. E in molti casi si tiene aperto fino all'autunno inoltrato; la provincia di Trento ha chiesto alla Società alpinistica di posticipare la chiusura delle strutture, prese d'assalto dai turisti stranieri.
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Dai tremila metri del ghiacciaio delle Lobbie, il rifugio “Ai Caduti dell’Adamello” famoso per aver accolto Giovanni Paolo II con gli sci e il presidente della Repubblica Sandro Pertini, è pronto per produrre idrogeno dal sole e dall’acqua sfruttando il suo impianto fotovoltaico. A fine giugno i presidenti delle province di Trento e di Brescia, Lorenzo Dellai e Daniele Molgora, hanno “benedetto” l’opera che apre la pista nella ricerca di sostenibilità ambientale (con l’autoproduzione di energia pulita) nei presidi d’alta quota.Si adeguano ai tempi i rifugi alpini (sono 763 quelli del Cai), pur restando lì apparentemente immobili sui loro bastioni rocciosi. Anche il calendario stagionale, fissato canonicamente dal 20 giugno al 20 settembre, registra significative novità che mirano a soddisfare le tendenze della potenziale clientela, senza snaturare l’identità del rifugio. Quest’anno la Provincia autonoma di Trento ha chiesto alla Sat (la Società alpinistica affiliata al Cai con 26 mila soci e 34 rifugi a gestione diretta) di prolungare almeno fino ad ottobre l’apertura di alcuni rifugi nevralgici per gli escursionisti tedeschi.L’idea convince Sergio Rosi, rifugista d’esperienza (ne parla al telefono ogni settimana come voce del circuito radiofonico in-Blu) che risponde dal Catinaccio, a quota 2.601: «Già lo scorso anno al mio rifugio qui a Passo Principe in qualche buon weekend di ottobre ho avuto più ospiti che in giugno. Tedeschi e austriaci, ma anche altri alpinisti del Nord Europa possono così trovare quello che offre da anni l’Alto Adige».«In effetti fino a fine ottobre – conferma dal rifugio altoatesino Forcella Vallaga il gestore Manfred Niederkofler – qui si lavora bene. Anche se poi dipende dal meteo». Al prolungamento al 5 ottobre s’impegnano per la prima volta quest’anno ben 16 rifugi Sat del Gruppo di Brenta su iniziativa dell’Accademia della Montagna. «É importante – avvisano però i vertici della Sat – che anche le strutture in valle ne tengano conto, in un calendario integrato. Gli alpinisti non possono trovare i rifugi aperti, ma deserte le altre realtà ricettive del fondovalle. L’esempio positivo ci viene dal vicino Alto Adige dove anche le malghe tengono aperto fino a metà ottobre. E gli escursionisti tedeschi lo sanno».Far quadrare il bilancio di fine stagione, quando sono molto alti costi d’esercizio, non è facile. Tanto che diventa essenziale che la differenza di classificazione: per la normativa trentina, ad esempio, i rifugi alpini offrono un’ospitalità più sobria (e sono giustamente più supportati) rispetto a quelli definiti “escursionistici”, dove è più facile arrivare: servizi più vari per una clientela più ampia. Lo dimostra l’apertura nei fine settimana primaverili – come avviene nel rifugio Gherardi in val Brembana – o qualche serata naturalistica al venerdì come sceglie di fare il rifugio Tonini allo Sprugio sull’altopiano di Pinè. Ogni rifugio può ritagliarsi una sua specificità ambientale. É la “domanda” dei nuovi montanari a interrogare l’offerta: secondo una fresca indagine sui rifugi trentini, diminuisce la presenza degli alpinisti esperti e abituali (30%), crescono gli escursionisti cosiddetti attivi (interessati anche ad altre proposte) e soprattutto i frequentatori occasionali. Più che un punto intermedio, il rifugio diventa un approdo per tanti escursionisti occasionali che, secondo la ricerca, ritengono importante la figura del gestore e la sua disponibilità. Apprezzano la sostenibilità del rifugio e sarebbero disposti a tornarvi anche nei mesi non estivi. Una delle novità più significative viene dall’apertura anche primaverile, mirata al boom dello scialpinismo. Già diffusa nelle traversate innevate dell’Alto Adige, spinge i rifugi a curare l’adeguamento strutturale per un’accoglienza invernale. Ha già aperto da fine marzo ai primi di maggio quest’anno ai piedi del Cevedale il centenario rifugio “Larcher”, a quota 2.608: «Molto dipende dal tempo nei weekend – è il bilancio della famiglia Casanova che lo gestisce – ma vediamo crescere il numero degli scialpinisti che chiedono di poter contare sul rifugio aperto».
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