domenica 17 aprile 2022
La staffetta di bene della 'Papa Giovanni XXIII' di don Benzi: Barbara accoglie nella sua casa a Cittadella, mentre Maria Cristina sfida le bombe in Ucraina e Anna lascia tutto per salvare sua figlia
Luca e Maria Cristina, con 5 dei loro 7 figli e lo striscione per la pace. La donna ha viaggiato dall’Italia al campo profughi di Prezmils

Luca e Maria Cristina, con 5 dei loro 7 figli e lo striscione per la pace. La donna ha viaggiato dall’Italia al campo profughi di Prezmils - L.B.

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Per Vlada, 15 anni, ucraina di Kiev, la guerra è iniziata tre anni fa. Un mal di testa violento, la risonanza magnetica e subito in sala operatoria: tumore al cervello. Le foto scattate solo il giorno prima la ritraggono com’era, giovanissima modella dai lunghi capelli neri e conduttrice televisiva per la tv dei ragazzi. «Poi in poche ore la fine di tutto», racconta sua mamma Anna Vasilenko, 41 anni, che a Kiev era avvocato nella pubblica amministrazione. Sul divano accanto a lei Vlada sorride incerta, del suo manto di capelli solo un’ombra tra le cicatrici lasciate dal bisturi. Ci vollero mesi in rianimazione perché tornasse la coscienza, un anno intero per riuscire a deglutire...

Ma proprio nel mezzo della giusta guerra di Vlada ne è scoppiata un’altra, insensata e volontaria, quella che ad ogni bombardamento terrorizzava lei, inchiodata sulla sedia a rotelle, e suo fratello Tymur, 9 anni: come si scappa in rifugio su una sedia a rotelle? «È per lei che sono venuta in Italia», afferma determinata Anna, che il rifugio per i suoi figli lo ha trovato a Cittadella nella casa di Barbara, artigiana e mamma di Andrea, «altrimenti sarei rimasta nella mia terra, lì c’è tutta la mia vita, un ottimo lavoro, mia madre », che ha 74 anni e ha scelto di restare. Come i vecchi nel terremoto, non ha voluto abbandonare la sua casa. Ora cucina per i soldati. «A Kiev vivevamo sereni», sospira ancora incredula, mostrando le foto della famiglia in spiaggia stesa al sole o in vacanza a Parigi. «Due mesi fa sentivamo alla tivù che le truppe russe si ammassavano al confine, ma fino all’ultimo non ci abbiamo creduto, nel 2022 ti sembra inverosimile. Poi è successo».

Così attraverso i social ha chiesto aiuto al mondo per Vlada, non solo contro le bombe ma per trovare un ospedale che accettasse di curarla. «Da due anni ricevevo solo rifiuti – racconta Anna – ma ora c’era anche la guerra, dovevo assolutamente portarla via, ho scritto in Israele, Germa- nia, Lituania, Turchia, Polonia, Italia, così come stanno facendo tanti altri genitori con figli disabili. Per prima si è mossa l’Italia: mai avrei detto che persone sconosciute potessero fare tanto per me». Infatti, mentre Anna già nei primi giorni di guerra si rifugiava con i figli a Leopoli, vicino al confine con la Polonia, contemporaneamente in Veneto Barbara Vaghi, 49 anni, non trovava pace: cercava un modo concreto per aiutare quella gente che vedeva in fuga con in mano le poche cose strappate ai missili, ma «un bonifico mi sembrava solo l’alibi per sentirmi a posto. Ho detto al mio bambino che dovevamo aprire la nostra casa e ho cercato un’associazione che mi aiutasse – spiega –. Sia la scuola di mio figlio, sia don Luca e don Roberto qui in parrocchia mi hanno indicato la Papa Giovanni XXIII di don Benzi, ho scritto loro e ho dato la disponibilità per ospitare una madre e un figlio per tre mesi. Sono arrivati una madre e due figli, e se resteranno più mesi questa è casa loro».

Eddi, Andrea con la mamma Barbara, poi Tymur, Vlada e Anna a Cittadella

Eddi, Andrea con la mamma Barbara, poi Tymur, Vlada e Anna a Cittadella - L.B.

Luca e Maria Cristina, con 5 dei loro 7 figli e lo striscione per la pace. La donna ha viaggiato dall’Italia al campo profughi di Prezmils

Luca e Maria Cristina, con 5 dei loro 7 figli e lo striscione per la pace. La donna ha viaggiato dall’Italia al campo profughi di Prezmils - L.B.

Nel vero senso della parola, perché le scale per Vlada sono un muro invalicabile, così in taverna si sono trasferiti Barbara e Andrea, «lì sotto abbiamo un letto matrimoniale, un tavolino, un piccolo frigo e un bagnetto. In un primo momento di fronte a tanti imprevisti ho detto alla Papa Giovanni XXIII che non me la sentivo più, ma un’ora dopo ho richiamato: ormai mi ero affezionata a loro tre, era come se li conoscessi già». La notte che sono arrivati Andrea non stava nella pelle, poi qualche problema c’è stato, «in fondo si è visto la vita stravolta, ma con i giorni ha capito che Tymur aveva perso ben più della sua cameretta». Nessun eroismo, è una scelta fatta con leggerezza – tiene a precisare – se ti poni troppe domande ti blocchi, ti sembra troppo difficile, soprattutto la burocrazia non aiuta: «Offrire la casa è facile, i problemi sono le continue pratiche, dai vaccini all’elettrocardiogramma di Tymur per poter giocare a calcio in oratorio».

Per non parlare dell’iter medico di Vlada, cercando ogni volta qualcuno che sappia l’ucraino. «Per fortuna la Papa Giovanni c’è sempre, e poi ho imparato che intorno c’è una grande umanità, i vicini si sono presentati con vestiti e regali, ho dovuto chiedere di rallentare un po’ per non umiliare Anna, che era abituata a una vita agiata e ora di colpo conosce il bisogno... Occorre rispettare la sua dignità». La guerra dei missili non la guardano mai, hanno deciso di spegnerla con il telecomando. Quella di Vlada, invece, ha già conquistato la sua prima vittoria ieri, quando l’ospedale di Padova ha comunicato che verrà presa in carico. «Questa è la sola cosa che mi importa – si commuove Anna –, siete un popolo speciale, la nostra fortuna è essere capitati in Italia». E pure questo è un altro tassello nel mosaico di destini che pare disegnato da una mano invisibile.

Perché mentre Barbara cercava come dare aiuto e Anna come fuggire, contemporaneamente in un paesino sui Colli Euganei un’altra donna, Maria Cristina Borromeo, 42 anni, alle 3 di notte del 18 marzo si metteva al volante e alle 8 del giorno seguente arrivava al campo profughi di Prezmils, al confine tra Polonia e Ucraina. Mamma di casa-famiglia della Papa Giovanni XXIII, lasciava al marito Luca i 7 figli (due naturali e 5 accolti) per rispondere alla chiamata dell’Associazione. «Gli amici dicono che per trovare un po’ di pace sono dovuta andare nella guerra», sorride. «Sapevo solo un nome, Anna, e che tra centinaia di profughi l’avrei riconosciuta da un cartello in mano con su scritto Papa Giovanni XXIII – racconta Maria Cristina nella sua grande casa di Cinto Euganeo, dentro la canonica della parrocchia –. Ho detto subito sì per due motivi, il primo più viscerale, che quella madre avrei potuto essere io, l’altro più razionale, che quando c’è un’ingiustizia evidente bisogna prendere posizione e agire per il bene.

Se un dittatore porta guerra e violenza, anche il suo popolo ne è vittima, io mi sento gemellata sia con gli ucraini che con i russi, certa che se fossero liberi di scegliere non vorrebbero tutto questo». Lo striscione con cui è entrata in Ucraina lo dice chiaro, 'Stop the war', con la guerra si perde tutti, nessuno vince. Non è mancata la paura, due volte sono suonati gli allarmi antiaerei e due volte si è chiesta cosa fare, trovare un parcheggio sotterraneo? proseguire? «Poi vedi che lì la gente va avanti nel proprio percorso, ci si abitua anche alla guerra e si continua a vivere». All’inizio i figli hanno cercato di dissuaderla dal partire, «ma poi hanno visto in tivù le persone nei rifugi sotto terra e mi hanno detto: mamma, vai, come si fa a lasciare quella gente là sotto? ».

Quando nel campo profughi di Prezmils, nell’ex parcheggio del centro commerciale, ha visto Anna col suo cartello, «esitante, discreta, imbarazzata», le è andata incontro. Un abbraccio liberatore, poi via verso l’Italia. Maria Cristina ha già fatto due viaggi, uno fin nel cuore della guerra, se ci sarà bisogno partirà ancora. «Il Papa all’Angelus è stato chiaro», commenta il marito, «dobbiamo tutti lavorare per la pace e la giustizia, stare sempre con il più debole. Intanto la diplomazia deve fare il suo lavoro, interagire con la parte sana di Putin: dargli del 'macellaio' non aiuta, se davvero puntiamo alla fine di questa guerra». Maria Cristina lo ha spiegato ai suoi figli e ai loro compagni nelle scuole: «Inviare aiuti è una cosa buona, ma dobbiamo andare alle radici del problema e identificare le soluzioni possibili, perché ciò che mina la libertà a 1.500 chilometri da qui la mina potenzialmente ovunque. Ragazzi, cercate un varco, tentate la via del dialogo: il mondo è pieno di spettatori da salotto, siate il cambiamento che volete vedere».

Le stesse parole di Barbara, che venerdì sera alla Via Crucis del Papa in tivù si è commossa davanti alle due donne, una ucraina e una russa, che insieme portavano la croce: «È un gesto immenso, anche le madri russe piangono per questa folle invasione». Parole che il nostro giovane interprete, Eduard Hvordevskih, 17 anni, traduce in ucraino per Anna. Anche lui da inizio guerra è a Cittadella da una famiglia italiana, la 'sua' famiglia, quella che da 7 anni ogni estate lo accoglie per tre mesi come un figlio: «Sono un orfano, a 6 anni ho perso la mamma – ci spiega Eddy, per tutto il giorno infaticabile nel tradurre discorsi più grandi di lui –. Sono venuto via se no ad agosto, a 18 anni compiuti, avrei dovuto combattere». A Kiev viveva con la nonna, 74 anni. Lei è rimasta. Come i nostri vecchi nel terremoto.

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