domenica 3 settembre 2017
Maestro di generazioni di rocciatori, non aveva esitato ad assistere il fratello disabile. «Questa adesso è la mia cordata». La passione per la scrittura: «Le vette sono capolavori del Signore»
Lo scalatore che sognava Dio
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All’età di 91 anni Armando Aste, uno degli ultimi grandi scalatori del dopoguerra, è tornato per sempre al Campo base. Laddove, usava dire, «il Signore non mi chiederà quante scalate ho fatto, ma se ho amato veramente i più bisognosi». Nativo di Iserva, accademico del Cai, riconosciuto come sapiente maestro da più generazioni di rocciatori, Aste si considerava soltanto «un alpinista dilettante in congedo» e ai ragazzi del suo oratorio di Borgo Sacco di Rovereto si presentava come un vecchio scout fedele al motto 'Estote parati', ancora pronto a servire.

Peraltro già al bivio della sua vita, a soli 60 anni, aveva scelto di abbandonare le spedizioni, i chiosi e le piccozze per assistere il fratello Antonio, disabile bloccato per 23 anni a letto: «Questa è adesso la mia cordata», confidava agli amici. Aste è morto il primo settembre nella Giornata mondiale del Creato, dopo aver ricercato e cantato la spiri- tualità dei monti in 'Cuore di roccia', il primo libro che nel 1988 rivelò la ricchezza contemplativa e letteraria di questo trentino apparentemente schivo. Ci ha lasciato – e merita riprenderli in mano – altri cinque titoli scritti a mano, testi d’introspezione più ancora che diari di imprese, alcune peraltro epiche in solitaria come la ripetizione della Preuss al Campanile Basso nel 1949 o la Nord sulla Cima Ovest di Lavaredo: «Ma le vette sono i capolavori di Dio, il grande artista – sottolineava nei suoi scritti – noi siamo solo dei pittori che cercano di ripeterle».

Era l’atteggiamento umile e quasi mistico dell’operaio della fabbrica Manifattura Tabacchi di Rovereto (irrobustiva i muscoli spalando il carbone dentro i forni) che praticò un alpinismo da dopolavoro, mai professionistico, cogliendo traguardi impensabili all’epoca. Come l’apertura in sei giorni con Franco Solina della 'Via dell’Ideale' nel 1964 in Marmolada, ritenuta dallo stesso Messner un’impresa decisiva. «Segnò forse il passaggio dall’alpinismo classico a quello moderno – spiegava Armando –, ma a me dispiace che da allora la parete Sud della Regina delle Dolomiti sia diventata palestra per un alpinismo che oggi vedo troppo commercializzato e individualista».

Al contrario, raccontava invece di quando nel 1955 insieme all’amico fraterno Angelo Miorandi incontrò al rifugio due alpinisti lombardi, Andrea Oggioni e Josve Aiazzi, che tentavano la stessa 'prima' sulla Cima d’Ambiez: alla sera si misero d’accordo per procedere con una guida alternata e aprirono insieme così la 'Via della Concordia'. Nacque un’amicizia su e giù dalla parete che per Armando era forse la vera conquista, come si legge in 'Alpinismo epistolare', il libro fitto di cartoline e dialoghi con compagni comeWalter Bonatti e Cesare Maestri. La spedizione più prestigiosa lo vide nel 1962 sull’impossibile Nord dell’Eiger insieme ad altri cinque italiani e l’anno dopo con il Cai di Monza sulla Torre Sud del Paine (in Patagonia sarà altre sei volte), eppure Armando non si è mai sentito un leader: concepiva la storia dell’alpinismo come una scala, dove ognuno si serve dei gradini che altri hanno messo prima.

Ci basta rileggere il suo libro 'Le stagioni della mia vita' (e alcuni scritti ancora non pubblicati) per cogliere quanto si teneva dentro il 'pover’uomo' Armando, fedele ogni giorno alla lettura di Avveniree al rosario: «Ringrazio ogni giorno la Madonna – diceva agli amici Paola e Mirko che lo accompagnavano al piccolo altare in giardino, sotto le cime trentine –. Non tutti possono essere artisti, ma la montagna può arricchire tutti, perché l’esperienza della trasfigurazione offre luce per la nostra vita». Nel ricordo anche della moglie Nedda si è commosso nel cantare 'La Madonnina' un anno fa quando nel teatro Zandonai la città di Rovereto gli ha reso un grazie che lui ha girato all’incontro definitivo col 'Padreterno': «Lo aspetto – conclude con una delle sue battute – perché mi dicono che dall’altra parte si stia decisivamente meglio».

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