venerdì 29 aprile 2016
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Fare terra bruciata intorno ai gruppi che inneggiano al jihad è interesse innanzitutto del mondo islamico. «La sicurezza è un bene da difendere, per noi come per tutti gli altri cittadini italiani» spiega Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane. «Di fronte al fanatismo e al radicalismo dobbiamo vigilare sempre, non possiamo chiudere occhio» premette l’imam di Firenze che, a proposito dell’operazione antiterrorismo condotta ieri nel Nord Italia, parla di «arresti importanti. Ora toccherà alla magistratura e ai nostri tribunali decidere se condannare queste persone – aggiunge Elzir – ma nel frattempo mi sembra giusto rilevare come si tratti di un blitz che riguarda non singoli individui ma un insieme organizzato di persone. È il segnale che la collaborazione tra la comunità islamica e le forze dell’ordine funziona e produce buoni risultati». «È giusto che il Paese sia protetto e che se qualcuno rappresenta un pericolo, venga messo all’angolo» osserva Bounegab Benaissa, presidente della Casa della cultura musulmana di via Padova di Milano. «Chi sbaglia deve pagare per le conseguenze dei suoi errori – aggiunge Benaissa –. Non deve invece pagare la comunità, magari attraverso processi di ghettizzazione mediatica. È invece il momento di iniziare a lavorare tutti insieme ». Quanto al cosiddetto «poema- bomba», ritenuto dagli inquirenti la base ideologica dell’azione terroristica e «un chiaro incitamento a commettere atti di violenza », la reazione islamica è unanime. «Non è un poema, è un disastro – dice Elzir –. Sono parole che danno i brividi». «Significa che non hanno capito nulla dell’islam» fa eco Benaissa. Resta tutto il lavoro da fare per prevenire scenari di eversione e soprattutto integrare ciò che, altrimenti, rischia la deriva radicale. «È la comunità islamica stessa a doversi mostrare per quello che è, senza sentirsi inutilmente sotto accusa e chiedendo di essere coinvolta di più nelle dinamiche delle città» sottolinea El-Sayed Youssef, che come mediatore culturale ha incontrato centinaia di ragazzi musulmani provenienti dal Nord Africa, che vivono nelle comunità ed escono da storie difficili. «Normalmente nascono in famiglie povere, con livello basso di formazione e hanno idee molto confuse sulla religione » dice. «L’integrazione è la prima via per prevenire il terrorismo » riprende Benaissa. «Negli ultimi mesi, ancor più dopo i fatti di Parigi e Bruxelles, abbiamo aperto dei canali di confronto in carcere con soggetti come la Caritas. Gli obiettivi sono due: far capire al personale dei penitenziari chi sono i musulmani e contemporaneamente spiegare agli addetti ai lavori come muoversi». Il fenomeno dei predicatori d’odio che si autoproclamano guide religiose e fanno adepti, sfruttando la disperazione di chi è recluso, va controllato da vicino. «La mancanza di una prospettiva può diventare terreno fertile per sedicenti musulmani, che si improvvisano imam e diventano pericolosi – continua Benaissa –. Per questo, bisogna intervenire coinvolgendo i soggetti del mondo musulmano che possono aiutare a dare un’interpretazione giusta di quel che sta accadendo ». «Quel che è certo è che i programmi di intervento, ad esempio nelle carceri, vanno accelerati, invece la burocrazia blocca tutto» aggiunge Elzir riferendosi al protocollo firmato tra il Dap e l’Ucoii per favorire l’accesso di mediatori culturali e di ministri di culto in via sperimentale per sei mesi negli otto istituti penitenziari. Burocrazia che si insinua tra un ministero e un altro e rischia di fermare passaggi strategici. Agli adolescenti e ai giovanissimi tentati dal jihad, che ai luoghi di culto della metropoli preferiscono peraltro l’indottrinamento via web, è necessario rispondere secondo il responsabile della Casa della cultura musulmana di Milano, «ingaggiando un vero e proprio braccio di ferro. Il Daesh e tutte le forze del male che strumentalizzano l’islam riescono a penetrare nelle coscienze dei nostri ragazzi, solo se noi siamo deboli». © RIPRODUZIONE RISERVATA GUIDA DELL’UCOII. Per Izzedin Elzir, imam di Firenze, siamo di fronte a «un blitz che riguarda non singoli individui, ma un insieme organizzato di persone. E la collaborazione tra comunità islamica e forze dell’ordine funziona»
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