mercoledì 14 ottobre 2020
L'uomo è stato accusato dalla Corte dell'Aja di crimini contro i diritti umani per essere tra i maggiori organizzatori del traffico di migranti
Bija partecipò nel 2017 a una riunione a Mineo

Bija partecipò nel 2017 a una riunione a Mineo - Avvenire

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Più che un arresto sembra la cronaca di una consegna concordata. Abdurahman al Milad, quel comandante Bija al centro di scandali e negoziati indicibili sulle due sponde del Mediterraneo, è stato bloccato ieri mattina in un sobborgo di Tripoli. Un fermo dai contorni ancora poco chiari.

Bija sarebbe stato tratto in arrestato dalla “rada” una delle “polizie” fedeli al redivivo ministro dell’interno Bashagha. Questi era stato dimissionato alcune settimane fa dal premier, a sua volta dimissionario, al-Serraj. Una cacciata sgradita alla Turchia, principale sponsor militare del governo di Tripoli, ottenendo così il reinsediamento di Bashagha.

Dall’aprile del 2019 il guardacoste, poi promosso “supervisore” del porto petrolifero di Zawyah, era destinatario di un mandato di cattura del procuratore generale di Tripoli. L’ordine non era mai stato eseguito, lasciando Bija libero di comandare la milizia al-Nasr durante le battaglie contro le fazioni arruolate dal generale Haftar, che dalla Cirenaica ha invano tentato per oltre un anno la conquista della capitale.

Nei giorni scorsi diversi emissari delle milizie che controllano il territorio da Tripoli al confine con la Tunisia, hanno negoziato con il governo centrale che intende creare una sorta di federazione delle bande armate allo scopo di centralizzare il controllo dei gruppi combattenti.

Bija è uno dei pezzi pregiati della trattativa. Una pedina ingombrante, accusata dall’Onu di essere al centro del traffico di esseri umani, coinvolto direttamente nel contrabbando di petrolio e nella gestione del campo di prigionia ufficiale di Zawyah.

Il trafficante nel maggio 2017 prese parte a una riunione sull’immigrazione al Cara di Mineo, in provincia di Catania, tra le autorità italiane e quelle libiche come emerse proprio da un’inchiesta di Avvenire. Pochi giorni prima anche il Centro di Alti Studi del Ministero della Difesa lo indicava tra i principali boss della tratta e del contrabbando. Le autorità italiane, dunque, avevano sufficienti notizie su di lui.

Un anno dopo, il 7 giugno 2018, il Consiglio di sicurezza dell’Onu dispose sanzioni internazionali su Bija e altri suoi complici.

L’incontro in Italia rientrava in un progetto comune del governo italiano e delle agenzie umanitarie Onu. La serie di riunioni facevano parte di un progetto finanziato dalla Comunità europea che prevedeva “visite di studio” in Italia da parte di una delegazione libica, i cui componenti venivano proposti dagli stessi libici ma “approvati” dalle autorità di Roma. Bija ottenne il visto dall’ambasciata italiana a Tripoli presentando il suo passaporto legalmente concesso da Tripoli e con il quale già in passato aveva viaggiato in Europa da giovane studente dell’accademia militare libica.

Si di lui ci sono almeno tre inchieste in Italia. Alcune riguardano anche l’ipotesi di operazioni illecite con il coinvolgimento di funzionari pubblici.

Nei mesi scorsi il tribunale di Messina ha condannato a 20 anni di carcere ciascuno tre torturatori nordafricani arruolati proprio dalla milizia di Bija per seviziare i migranti del campo ufficiale di Zawyah.

(Bija è stato accusato dalle Nazioni Unite "di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone,ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell'area di Zawyah" (Zauia), come sintetizzò l'anno scorso Nello Scavo in un suo articolo. Ndr )


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