sabato 8 giugno 2019
Dispone di una nave fornita da Roma che usa per le sue attività ai danni di chi cerca di arrivare nel nostro continente. L'Onu lo accusa, altri continuano a proteggerlo
Bija a Tripoli (foto da Libianews)

Bija a Tripoli (foto da Libianews)

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Il comandante Bija deve molto all’Europa. A Zawyah la sua “guardia costiera” è operativa grazie a mezzi e fondi elargiti via Tripoli dai generosi donatori di Roma e Bruxelles. Ma Bija secondo l’Onu dovrebbe stare in galera, per i crimini commessi contro i migranti.

Invece è libero di proseguire nel suo poliedrico business: trafficante di uomini, contrabbandiere, sorvegliante di centri petroliferi. Sempre travestito da rispettabile guardacoste.

Le autorità del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, assicuravano che Bija era stato reso “inoffensivo”. In realtà sarebbe più in sella che mai, soprattutto per avere messo a disposizione del premier Sarraj la sua milizia che starebbe combattendo contro i clan alleati del generale Haftar. Diverse foto circolate in Libia ritraggono Bija mentre festeggia le vittorie sul campo insieme ad altri miliziani. Difficile che, con i servigi resi in favore del governo voluto dall’Onu, qualcuno lo consegni mai a un tribunale sempre dell’Onu.

Riconoscibile per la mano destra menomata dall’esplosione di una granata, Bija ha imparato presto a cavarsela in ogni situazione. Che le partenze siano frequenti o che debba periodicamente rallentare i flussi per compiacere le suppliche dei governi europei, Bija vince sempre: lo pagano per attrezzare la cosiddetta Guardia costiera, e se anche deve bloccare i barconi, incassa comunque dalle estorsioni a danno dei migranti. Le malelingue della vicina Zuara, dove le alleanze e le inimicizie si alternano al ritmo delle fasi lunari, dicono che Bija quando cattura migranti in mare, di solito si tratta di disgraziati messi in acqua dai clan nemici.

Dal luglio 2018 è sottoposto a sanzioni stabilite dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: in particolare, divieto di viaggio e blocco delle attività proprio per i crimini su cui indaga la Corte penale internazionale dell’Aja. Le accuse contro di lui dovrebbero imbarazzare i suoi finanziatori.

«Le sue forze – si legge in uno dei documenti a disposizione dalla Procura presso la corte penale in Olanda – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard». Alcuni uomini della sua milizia «avrebbero beneficiato del Programma Ue di addestramento» nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia.

Inoltre proprio Bija è sospettato di aver dato l’ordine ai suoi marinai di sparare contro navi umanitarie e motopescherecci.

Intervistato da Amedeo Ricucci nell’autunno del 2017, Abd al-Rahman al-Milad, noto come Bija, all’inviato del Tg1 fece chiaramente intendere che in cambio di un ricco appalto per gestire la sicurezza dei siti petroliferi concessi ad aziende italiane, avrebbe smesso di doversi arrangiare con certi affari. Traffici che secondo gli esperti Onu si possono riassumere «nell’affondamento delle imbarcazioni dei migranti utilizzando armi da fuoco», la cooperazione «con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf che, secondo fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite».

Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu e dell’Aja – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia Costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portata al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

Nonostante un curriculum che non lo fa certo somigliare a uno statista, Bija e i suoi uomini guadagnano spazio e potere. A quanto pare, senza imbarazzo per i suoi finanziatori. Tutto questo mentre le Nazioni Unite sono tornate a denunciare le «spaventose» e «disumane» condizioni dei campi di detenzione per migranti e profughi. «Siamo molto colpiti dalle spaventose condizioni di detenzione», ha detto a Ginevra il portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani, Rupert Colville che parla di stragi nel silenzio, «con decine di morti per tubercolosi» nelle prigioni a causa della loro sistematica denutrizione. Strutture per le quali la Libia riceve centinaia di milioni di euro dall’Europa e specialmente dall’Italia.

Stando alle cifre delle Nazioni Unite, sono circa 3.400 i migranti e profughi bloccati in vari campi di Tripoli. E la situazione è peggiorata dall’inizio dell’offensiva sulla capitale lanciata dal maresciallo Khalifa Haftar. Colville ne parla apertamente come di un «luogo d’inferno».

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