giovedì 6 aprile 2017
Il tema oggi al centro di un seminario della Fondazione Astrid. Nel 2015 il richiamo del vescovo Galantino al superamento della legge del 1929: "Pluralismo non vuol dire livellamento"
Libertà religiosa, «la legislazione rispecchi la Costituzione»
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Si ritorna a parlare di possibili interventi legislativi in materia di libertà religiosa. E il tema, in particolare, è al centro della proposta elaborata da un gruppo di studio promosso dalla Fondazione Astrid, che ne discute oggi a Roma in un Seminario con la partecipazione di giuristi ed esponenti del Governo (annunciato, tra gli altri, il ministro dell’Interno, Marco Minniti). L’iniziativa evidenzia da un lato l’esigenza di integrare la normativa in materia in un quadro più organico, dall’altro però permette di focalizzare anche alcuni problemi di fondo che restano aperti. Sono del resto gli aspetti che il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, aveva segnalato nel corso di un Convegno promosso dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, svoltosi a Roma nel 2015.

In quell’intervento, incentrato sul «contributo della Chiesa» al tema del pluralismo e della libertà religiosa in Italia, Galantino ripercorreva il modo in cui la Cei era stata più volte chiamata a intervenire sulle diverse proposte di legge presentate in materia nel corso degli ultimi venti anni: in particolare, l’accordo circa la necessità di superare la legislazione sui «culti ammessi» degli anni 1929-1930, ma anche l’invito a mantenere fermo il riferimento alle disposizioni della Costituzione repubblicana su questo tema, specie per quanto concerne la portata della garanzia complementare, ma distinta, offerta, rispettivamente per la Chiesa cattolica e per le confessioni diverse dalla cattolica, dagli articoli 7 e 8, commi 2 e 3. Ma anche riguardo all’osservanza del principio guida della bilateralità pattizia consacrato da tali disposizioni. A tal proposito così si esprimeva il segretario generale della Cei: «In Italia non è in discussione la necessità di assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa». Invece, «quel che pare necessario approfondire insieme è l’impostazione e la finalità di un eventuale intervento legislativo».

Due anni dopo la sostanza della questione non cambia. L’intervento legislativo resta auspicabile se armonico rispetto al disegno costituzionale, rispettoso degli accordi e delle intese fin qui stipulati e circoscritto nelle sue finalità (si pensi ad esempio all’edilizia per il culto, al rispetto di pratiche e norme rituali connesse alle varie tradizioni religiose, al riconoscimento dei ministri delle confessioni che possono celebrare matrimoni con effetti civili). I valori del pluralismo, così come non postulano una sorta di «livellamento al basso» quale unica possibilità per garantirne il rispetto, analogamente non esigono un’omogeneizzazione verso l’alto di realtà diverse fra loro. E questo soprattutto in una fase nuova come quella attuale in cui si pongono questioni nuove legate al carattere sempre più interculturale, multietnico e multireligioso della nostra società plurale.

Ne consegue che il necessario confronto (anche se non dovesse condurre ad essere d’accordo su tutto) deve comunque procedere sui binari dell’attenzione alle diverse identità e del rispetto di una laicità che sia tanto monista 'alla francese', quanto piuttosto pluralista e inclusiva, secondo le caratteristiche proprie dell’esperienza italiana quali indicate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 203 del 1989. In questa prospettiva, l’esigenza di superare la già citata e ormai anacronistica legislazione del 1929 non può trovare adeguata risposta in un rovesciamento dell’impostazione propria del nostro ordinamento costituzionale, che riconosce l’importanza per il bene comune delle confessioni religiose e ne garantisce la peculiare condizione giuridica rispetto ad altre diverse realtà di tipo associativo, a carattere religioso o filosofico. Non si tratta quindi, come sostenuto in qualche intervento non proprio attento ai fatti, di essere favorevoli al confessionalismo o alla discriminazione, bensì di rispettare e valorizzare la prospettiva costituzionale, realizzata in un sistema che fino ad oggi ha dato buona prova di sé. Anche e soprattutto grazie allo spirito di leale collaborazione che ha orientato la sua progressiva attuazione.

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