sabato 18 aprile 2009
Presentato il secondo rapporto del Movimento per la vita, redatto sulla base dei dati ufficiali del ministero della Salute e di quelli della Società europea di riproduzione ed embriologia.
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In tre anni (2005-2007) evitata la morte di 120 mila embrioni. Questo uno dei risultati più importanti della legge 40 sulla pro­creazione medicalmente assistita (mpa), in base al 2° rapporto del Movimento per la vita (Mpv) sul­l’attuazione della norma. Il qua­dro tracciato dal rapporto si basa sulla lettura dei dati ufficiali del mi­nistero della Salute e della Società europea di riproduzione e di em­briologia (Eshre). Finora gli effetti della legge sono stati per lo più misurati sul piano di uno solo dei due scopi del prov­vedimento (il superamento della sterilità e dell’infertilità): «que­st’anno - ha osservato il presiden­te del Mpv, Carlo Casini – la esa­miniamo sotto il profilo dei diritto alla vita del concepito, sancito dal­l’articolo 1 insieme ai diritti di tut­ti gli altri soggetti coinvolti». Sulla base dell’ipotesi, fon­data sul rapporto stabilito per il 2007 fra ovociti non utilizzati (un gran numero secondo le relazioni del ministro Livia Turco), ovo­citi non idonei e embrioni ottenuti dagli ovociti ido­nei, si può calcolare che nel triennio 2005-2007 la cifra totale degli embrioni che avreb­bero potuto essere prodotti in so­prannumero è 121.869 (e manca­no i dati di quasi dieci mesi del 2004). Si tratta di vite umane che a­vrebbero potuto essere soppresse o per distruzione diretta o per con­gelamento, morti che invece la leg­ge 40 ha evitato. «Il paradosso è che i sostenitori della legge 194 sull’a­borto sostengono che la paternità responsabile si realizza evitando il concepimento, mentre per la pma gli stessi affermano la libertà di ge­nerare embrioni senza limiti, an­che se poi vengono destinati alla morte», ha evidenziato Casini, sottolineando comunque che la pro­creazione assistita resta nell’am­bito di tecniche in sé gravate da ri­serve etiche anche quando gli em­brioni sono tutti trasferiti in utero. Il presidente del Mpv ha indicato anche ciò che «non sarebbe avve­nuto se la normativa fosse stata ap­provata prima». Per esempio 5.349 embrioni sono morti per effetto di scongelamento nel quinquennio 2003-2007, ma si tratta di un resi­duato della crioconservazione an­teriore alla norma. Dal confronto con altri Paesi e­merge inoltre che sono diminuite le sindromi da iperovulazione (0,44% nel 2007 in Italia, contro l’1,2% della media europea). Effet­to, secondo Casini, «di stimolazio­ni dolci, meno pericolose delle sti­molazioni severe, possibili quando non sia posto un limite alla crea­zione di embrioni e quindi al pre­lievo di ovociti». Il rapporto smentisce quanto di so­lito affermato dai critici della leg­ge, cioè che con il limite di tre em­brioni la percentuale di successo è scarsa, quindi la donna è con­dannata a sottoporsi ad ulteriori stimolazioni. Questa tesi è con­traddetta non solo dalla diminu­zione delle sindromi di iperovula­zione, ma anche dal fatto che la probabilità che la donna nella fe­condazione in vitro si debba più volte sottoporre a trattamento i­perovulatorio e prelievo, è andata calando. Si passa dal 30,5% dei ci­cli e dal 14,3% dei prelievi del 2003 al 20,6% dei cicli e al 7% dei prelievi nel 2007, in netta controtendenza con quanto accade nell’insemina­zione semplice, che non produce embrioni in provetta, dove la sti­molazione plurima è andata cre­scendo (20,4% nel 2005 e 34,7% nel 2007). Ed in contrasto anche con quanto avviene nella pma in altri Paesi. «Grazie alla legge, con po­chi ovociti prelevati, che esigono una somministrazione di farmaci più modesta, meno rischiosa per la donna, si possono ottenere em­brioni più vitali», ha spiegato il pre­sidente del Mpv. Quanto al 'successo' in termini di gravidanze e parti, la percentuale in Italia è andata migliorando. An­che se è vero che i dati percentua­li di altri Paesi europei sono mi­gliori, ma bisogna tener conto del fatto che, già nel 2003, il nostro Paese, prima della legge 40, si tro­vava al 24° posto tra trenta nazio­ni, con riferimento alla percen­tuale di parti per trasferimento da Fivet e al 20° per trasferimento da Icsi. La percentuale di suc­cesso è poi migliorata nel nostro Paese, nonostante due fattori che rendono meno vantaggiose le con­dizioni. L’Italia ha il record assoluto e percentuale per numero di centri che effet­tuano la pma: «Questo si­gnifica che sono numerosi i pic­coli centri che non hanno l’espe­rienza sufficiente per raggiungere le percentuali di successo che sa­rebbero auspicabili». Un altro fat­tore che rende difficile il successo della pma nel nostro Paese è che il numero di donne ultratrentacin­quenni è andato crescendo nel tempo fino a raggiungere nel 2007 il 65,1% mentre nel 2003 era del 56,4%. In Francia la percentuale è del 38,5%. L’Italia è in seconda nel­la classifica europea per anzianità delle donne che ricorrono alla p­ma, preceduta soltanto dal Mon­tenegro. In vista della pubblicazione della motivazione della sentenza della Corte costituzionale, che nel di­spositivo tra l’altro ha dichiarato illegittimo il limite di tre embrioni prodotti, Casini ha sottolineato che il rapporto vuole essere «comun­que uno stimolo ad una riflessio­ne, affinché qualunque cosa affer­mi la Consulta si continui ad ap­plicare le regole della legge 40 co­me più scientificamente e etica­mente accettabili. In ogni modo non ci può essere un obbligo a pro­durre più di tre embrioni. Già pri­ma della legge moltissimi centri non superavano quel limite».
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