sabato 22 maggio 2010
Per la presidente dell’Associazione nazionale genitori scuole cattoliche, Maria Grazia Colombo, «non si costruisca la lotta all’evasione sull’ingiustizia di una parità incompiuta» che costringe i genitori a sobbarcarsi il costo delle rette. Nel mirino il progetto dell’Agenzia delle entrate di considerarle come parametro fiscale.
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«Mi pare che si intenda costruire su un’ingiustizia - la mancata attuazione completa della parità scolastica -, una giustizia fiscale». Non nasconde la propria irritazione e amarezza Maria Grazia Colombo, presidente nazionale dell’Associazione nazionale genitori scuole cattoliche (Agesc), all’indomani dell’inserimento della retta pagata per l’iscrizione alle «scuole esclusive» come parametro all’interno del redditometro contro l’evasione fiscale. «Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci – premette la presidente Colombo –: siamo al fianco dello Stato nella lotta all’evasione fiscale, che danneggia tutti noi cittadini. E dunque, da parte nostra nessuna copertura agli evasori». Ma nello stesso tempo «non posso non esprimere il mio rammarico che l’investire in educazione da parte di una famiglia venga inserito come parametro per questa lotta». Tema delicato, riconosce la presidente dell’Agesc, «dove si rischia anche di essere fraintesi». Ma la confusione dei termini (paritarie come private, statali come pubbliche) e qualche neppur velata insinuazione (scuola privata uguale evasione fiscale) su qualche quotidiano, non lascia l’Agesc tranquilla.«Parliamoci chiaro – prosegue la presidente Colombo –: se lo Stato desse piena attuazione alla parità scolastica, eliminando anche il vincolo economico per le famiglie, questo parametro non verrebbe neppure considerato. Del resto la legge 62 del 2000 sancisce la nascita di un unico sistema scolastico pubblico, in cui operano scuole statali e scuole paritarie, e a quest’ultime lo stesso Stato riconosce il ruolo di servizio pubblico svolto». Poi, però, non interviene, se non per una minuscola porzione, nel permettere alle famiglie di esercitare la propria libertà di scelta in campo educativo senza vincoli economici. «Ci sono molte famiglie a basso reddito che decidono di investire nell’educazione dei propri figli e con enormi sacrifici si sobbarcano il pagamento delle rette» sottolinea con forza Maria Grazia Colombo. Famiglie che, grazie a una informazione a volte tendenziosa, vengono ora messe sul banco degli imputati come potenziali evasori fiscali. «Oltre al danno, la beffa» commenta la Colombo, che ricorda come, al contrario, «è lo Stato a risparmiare grazie alla presenza delle nostre scuole: ben sei miliardi di euro l’anno». Una cifra calcolata dall’Agesc tre anni fa - ma tutt’ora valida - mettendo a confronto quanto lo Stato paga per ogni studente di una scuola statale (di ogni ordine e grado) e quanto per uno studente iscritto a una paritaria: un risparmio (per lo Stato) di sei miliardi di euro, a fronte di un investimento nel bilancio del ministero della Pubblica Istruzione di 536 milioni di euro, «tra l’altro da un paio d’anni – denuncia la presidente dell’Agesc –  decurtati di 134 milioni che con grande fatica lottiamo per far reintegrare ogni volta». Sei miliari e 536 milioni, sta in queste due cifre il divario reale tra la scuola statale e quella paritaria. Il tutto a carico dei genitori, che ora, se lavoratori autonomi, potrebbero essere al centro dei controlli anti-evasione. «Dispiace pensare che investire in educazione possa essere alla stessa stregua di comprare un’automobile di lusso» commenta Colombo. Di certo «un lusso, visto lo scarso investimento dello Stato – aggiunge –, è diventato per i genitori poter scegliere liberamente la scuola per i propri figli», tanto da dover rinunciare in alcune occasioni a questa scelta. Insomma «una legge in gran parte incompiuta» come ha riconosciuto il «papà» di questa legge, l’allora ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, in un’intervista ad Avvenire in occasione del decennale della parità nel marzo scorso.
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