domenica 8 luglio 2018
Un'intera azienda si schiera con il collega nigeriano: «Ci ha cambiato la vita». Rigettata la richiesta d'asilo, entro luglio il verdetto. L'amministratore delegato: «Se ce lo lasciano, lo assumo».
«La vita di Harris nelle mani del tribunale»
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Un’intera azienda che prende carta e penna e scrive alla Prefettura per dire ai giudici che Harris il nigeriano non può andarsene, che è troppo «un ragazzo d’oro» e se venisse rimpatriato «l’impresa perderebbe il suo valore aggiunto ». Succede nell’Italia del Nord operosa e sempre di corsa, ma anche da secoli ospitale, dove ai dipendenti della Imi Norgren di Vimercate, multinazionale leader nella vendita di componenti per automazione industriale, non è andato giù che Harris Momodu, 28 anni, dopo sei mesi di lavoro fianco a fianco si sia visto respingere la domanda di asilo e debba tornare nella Nigeria da cui aveva impiegato due anni per scappare.

Al suo arrivo, nel 2016, aveva chiesto lo status di rifugiato, ma il suo popolo non è 'in guerra', la sua gente non è 'perseguitata', non ci sono 'carestie' o 'epidemie', dunque può tornarsene felicemente a casa... Le norme tagliano i destini con l’accetta, per loro la carneficina domenicale di cristiani nelle chiese della Nigeria non è una guerra, la mancanza di un pasto certo da dare ai figli non è povertà, acqua infetta e analfabetismo non sono vere e proprie epidemie... Eppure per sfuggire a tutto questo nel 2014 Harris ha avuto la forza di lasciarsi tutto alle spalle, anche una moglie e un bimbo di 4 anni, e si è incamminato nel deserto in cerca di un futuro per loro. Ha affrontato anche l’inferno libico, un anno e tre mesi di 'lavoro' pur di pagarsi quell’ultimo tratto di mare verso Lampedusa. L’approdo nel maggio del 2016, poi il viaggio verso il nord, l’arrivo ad Agrate nel centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa, infine per fortuna l’incontro con Serena Codeleoncini, la persona che nel dicembre scorso ha bussato per lui alla porta della multinazionale di Vimercate.

«È la nostra consulente del lavoro – la presenta Danilo Carrara, amministratore delegato della Imi Norgren –. Mi ha proposto di permettere a un ragazzo straniero un tirocinio per inserimento lavorativo della durata di un anno, l’idea mi è piaciuta e siamo partiti così, quasi per gioco. Harris all’inizio era impaurito, ma sul lavoro è serio e umile, presto si è fatto voler bene da tutti. Dopo sei mesi il mio bilancio è che grazie a lui il clima aziendale è nettamente migliorato e in un modo o nell’altro siamo tutti cambiati: di immigrazione sentiamo parlare anche troppo dai media, ma è un’iperinformazione che in realtà non ci dice nulla. Finché non incontri un Harris in carne ed ossa e allora conosci le fatiche, il coraggio, la voglia di farcela... Anche io mi unisco ai nostri dipendenti e dico al giudice: lo lasci qua, io mi impegno ad assumerlo». Harris abbassa gli occhi, ma spalanca un candido sorriso. Accanto a lui, inseparabile, il suo migliore amico, Luca Conti, il responsabile del magazzino: «Ricordo il suo primo giorno in mensa – dice Conti, che per scherzo indossa la maglia dell’Argentina, la squadra che ha battuto la Nigeria ai mondiali –. Io avevo preso spaghetti, pollo, patatine, troppa roba e alla fine ho lasciato mezzo piatto. Lui senza una parola ha aperto il pane, ci ha messo gli avanzi e li ha portati via per la cena. Sono cose che noi abbiamo disimparato, occorreva Harris per riportarci alla realtà e ricordarci che buttare il cibo è bestemmia». «A Natale eravamo tutti presi dalla frenesia compulsiva dei regali – aggiunge Marina Bossi, in ditta la responsabile della produzione – Harris era arrivato da poco e non aveva nulla, ma era più sereno di noi. Di colpo ci siamo resi conto del vuoto in cui vivevamo... È questo il valore aggiunto che ci ha portato, noi non ci accorgevamo più di niente». Bello. Ma lo scopo di un’azienda è «fare profitti, non beneficenza, dunque sottolineo che la presenza di Harris per la Imi Norgren è fruttuosa, tant’è che i dirigenti mi hanno ringraziato», precisa Serena Codeleoncini. Ma tutto questo la Prefettura non poteva saperlo e la richiesta di asilo di Harris, sfuggito a persecuzione e povertà, è stata cestinata. Sono stati i colleghi a spingerlo a fare ricorso e tutti insieme si sono appellati «al buon senso e alla lungimiranza del giudice» chiedendo che il giovane possa restare. Hanno sommerso il Tribunale di decine e decine di lettere tutte diverse, ognuna con fotocopia della carta d’identità dello scrivente perché abbia valore di testimonianza. Ora la parola finale spetta appunto al tribunale di Milano, che a fine luglio emetterà il verdetto. «Qualora fosse un secondo no, stavolta definitivo, non saprei come dirlo ai miei dipendenti», commenta Carrara.

Il più tranquillo sembra proprio Harris, che nel frattempo si limita a fare il suo lavoro (dal magazzino è già stato promosso all’area assemblaggi), a stringere spesso tra le dita il rosario rosa che porta al collo dal giorno in cui è arrivato, e a sperare negli italiani, «grazie a Dio non siete come i libici altrimenti sarei morto, voi avete un cuore grande», mormora un po’ timido, «io mi metto anche nei vostri panni, con tanti neri che arrivano perché dovreste tenere me?». Ma poi racconta il resto, e cioè dei 120 che affollavano il suo stesso gommone quando provarono ad affrontare il mare, ma la burrasca li rigettò sulla costa libica «e quando ci riprovammo eravamo già dieci di meno»... «Non si affronta tutto questo se a casa propria si vive decentemente », rimarca Roberto D’Alessio del Consorzio Comunità Brianza, uno degli enti che aderiscono a 'RTI Bonvena', la rete che opera sul territorio per una 'accoglienza virtuosa'. «Aprire a queste persone e non dare loro una prospettiva di autonomia è insensato, la legge tutela i loro diritti ma poi non prevede l’unica cosa utile, che è un lavoro. Per Harris non speriamo nello status di rifugiato, ma certamente una protezione umanitaria potrebbe averla: con il sostegno che ha sarebbe logico». 'RTI Bonvena' (in esperanto accoglienza) raccoglie una ventina di enti e opera sul piano della realizzazione personale e dell’inserimento sociale. Il suo 'Fondo Hope', finanziato dagli stessi enti, eroga borse lavoro e contributi economici, ma spesso non basta. Serena Codeleoncini non demorde, nelle tante aziende per cui è consulente del lavoro bussa come ha fatto con Carraro: «Incasso molti no, dovuti a banale diffidenza, ma anche dei magnifici sì. Unragazzo era così bravo che ora è stato assunto a tempo indeterminato a Cavenago, e altri cinque stanno facendo il tirocinio a Colico». Alle imprese non costa nulla, Harris da dicembre percepisce i 2,5 euro al giorno ministeriali, mentre il resto del progetto è sostenuto da 'RTI Bonvena'. Insomma, conclude l’amministratore delegato di Imi Norgren, «io non ho fatto che aprirgli l’azienda con un colloquio iniziale, il resto lo ha fatto lui da solo catturando la stima di tutti». Eppure proprio normale la Imi di Carraro non è, basti dire che ogni anno nell’'Imi Day' tutti i lavoratori, amministratore delegato compreso, indossano la tuta e restaurano gratuitamente le strutture del Comune di Vimercate. «Nel giorno dei lavori socialmente utili le gerarchie si azzerano – sorride Carraro – e gli ultimi entrati in azienda diventano capi. Fa parte di un percorso di formazione etica che fa bene a tutti». Quest’anno è toccato al parco comunale, con 250 metri di mura da riverniciare, panchine e staccionate da smontare e riassemblare. «Invertire i ruoli del comando, ma raggiungendo il risultato, è una grande lezione. Chi era quel giorno il team manager? Naturalmente Harris».

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