Le belle parole del Papa a Curia, dipendenti vaticani e preti

Leone XIV ha chiesto ai suoi "collaboratori" di volersi bene, essere amici, creare un clima di accoglienza. Cioè di preparare la strada al Cristo che viene
December 23, 2025
Le belle parole del Papa a Curia, dipendenti vaticani e preti
Papa Leone XIV durante l'udienza alla Curia romana
Facciamo l’abitudine a tutto. Nel bene e nel male. Addirittura, al sacro. È una battaglia continua, una lotta senza quartiere, occorre difendersi e mettere in pratica i consigli dei santi per tentare di non lasciarsi azzannare da questo strano animale che ruba la sorpresa, la gioia, lo stupore, il mistero; rapina il desiderio di santità e ci trascina per luoghi dove non avremmo mai pensato di andare. «Leggi e rileggi la vita dei santi» scriveva san Roberto Bellarmino al nipote che gli chiedeva consigli per avanzare nella vita spirituale. Leggi e rileggi innanzitutto le pagine del Vangelo. Fermati, rifletti, medita, prega, poi metti in pratica la lezione, ti assicuro che non sbaglierai. Se tutto il mondo dovesse consigliarti una cosa e il Vangelo ti dice il contrario, non temere a imbocca la strada che ti ha indicato il libro sacro. Papa Leone ha fatto gli auguri ai suoi più stretti collaboratori, clero e laici. E, dopo averli ringraziati per il prezioso servizio che rendono, senza infingimenti, ha messo il dito nella piaga, parlando delle relazioni umane. Anche nella Curia romana, infatti, possono penetrare quei veleni che sono «l’esercizio del potere, la smania di voler primeggiare, la cura dei propri interessi». Ancora poche ore fa, a Cava dei Tirreni, Anna, una signora quarantenne, è stata accoltellata a morte dall’uomo che diceva – o credeva – di amarla. Relazioni tossiche. Narcisisti rivolti su sé stessi, incapaci di passare dall’io al noi, dal mio al nostro. Egoisti che avvelenano l’aria. Si può uccidere un fratello o una sorella in tanti modi. La lingua può fare più danni della spada. La calunnia e l’adulazione fanno male non solo al diretto interessato ma spandono intorno un clima di rassegnazione, prima, e di triste sfiducia, poi. E la sfiducia negli uomini di Chiesa apre la porta verso l’allontanamento dalla Chiesa e da Cristo.
Chi ha ricevuto di più ha un solo dovere: dare di più. Come vede i confratelli della Curia romana un prete di periferia? Come uomini chiamati dal Signore «perché stessero con Lui e anche per mandarli ad annunciare il Vangelo». Punto. Troppo bello, troppo forte, una vera rivoluzione è la perenne novità del Vangelo. La voce, gli studi, l’oratoria, solo in parte rendono un utile servizio alla Parola, la parte più importante la fa la testimonianza dell’apostolo. Abbiamo bisogno di santi. Domenica scorsa, ultima di questo tempo di Avvento, la liturgia (nel rito romano) ci ha presentato la figura di Giuseppe di Nazaret, l’uomo che non parla mai, l’uomo del servizio, del fare, della gratuità, dell’ascolto, della riflessione. L’uomo che per sé non chiede niente, tutto intento a spianare la strada alla donna che ama – alla quale ha rinunciato – e al mistero immenso che si porta dentro. Solo il peccato chiude la bocca al predicatore. È vero. Il Papa ha chiesto ai suoi collaboratori – e di conseguenza a tutti noi preti e laici in giro per il mondo – di volersi bene, di essere amici, di creare un clima di accoglienza. Di preparare la strada al Cristo che viene. In questi anni abbiamo parlato tanto di Chiesa profetica, Chiesa in uscita, Chiesa sinodale, ospedale da campo. Ecco, io penso che la vera profezia, che tutti siamo chiamati a realizzare, sia questa: in un mondo che impazzisce per il denaro e il potere, i discepoli di Gesù, si spogliano – volontariamente! – dell’uno e dell’altro. Per essere più liberi, per farsi poveri con i poveri, per somigliare a Cristo abbandonato e povero. Per essere credibili, per essere credenti. In un mondo che si lascia rodere dall’invidia e dalla gelosia, gli apostoli del Vangelo si fanno dono gratuito per i vicini e i lontani, spalancano le mani e dicono a chi vuole derubarli: prendetevi tutto, lasciateci le persone da evangelizzare, da amare, da accompagnare, da guarire.
«Guai a me se non predicassi il Vangelo», scrive san Paolo. «Guai a chi scandalizza i piccoli» disse Gesù. Come fare per non cadere in questi orribili peccati? Andando a scuola da Maria, la donna dell’eccomi; la maestra di umiltà: la virtù che ha fatto innamorare finanche Dio. Siamo tutti sulla stessa barca. C’è chi lavora in periferie degradate, chi nelle grandi città, chi all’interno del Vaticano; chi con i carcerati, gli immigrati, i senzatetto e chi con i potenti o i libri in biblioteca; chi parte per Paesi lontani e chi rimane in patria per ridare fiato all’antico lucignolo, sovente fumigante o addirittura spento. Chi è più importante? Domanda sciocca e inopportuna. Siamo solo servi inutili. Agli occhi di Dio, però, certamente lo è chi è capace di rinnegare sé stesso e farsi tutto a tutti per amore. Bando, quindi, alla corsa verso titoli inutili e ridicoli o a posti di potere. Bando alle invidie, alle gelosie, ai malumori che appesantiscono l’aria e rovinano la vita spirituale e le comunità. Lontano dai musi lunghi e dai profeti di sventura. «Crederei solo a un Dio che sapesse danzare» scriveva Nietzsche. Aveva ragione. Mostriamo ai suoi seguaci la gioia che sgorga dal cuore dei discepoli di Cristo. E se tante volte ci ritroviamo a singhiozzare o a piangere a dirotto è solo per la stoltezza umana che ancora non sa fare a meno di conflitti, armi, guerre, devastazioni, mutilati. Ancora ha bisogno di morti ammazzati per sentirsi al sicuro. Grazie, papa Leone. Buon Natale.

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